Bruges, una Firenze fiamminga di Marco Vallora

Bruges, una Firenze fiamminga Pittori, incisori, musicisti: nella città belga una grande mostra fa rivivere la straordinaria stagione del Rinascimento nelle Fiandre Bruges, una Firenze fiamminga DaMemlingaPourbus, igenidelNord ~?*\ BRUGES I « ONVERRA' dichiararlo I subito. Questa formidabile I i mostra che il vero viaggia\à I tore d'arte non dovrebbe perdersi a nessun costo rischia di esser penalizzata da un titolo ambiguo e fuorviante: Da Memling a Pourbus. Non soltanto per l'assonanza a quelle mostre scadenti, Da Van Gogh a Matisse, Da Gauguin a Picasso, che usano quei nomi-civetta per attirare gonzi. Niente di tutto questo, qui, al Memlingmuseum. Intanto perché si ha a che fare con Pieter Pourbus, artista segreto (per noi) e di tutto rispetto, cui il Groningen Museum aveva già dedicato una mostra importante; ma soprattutto nome simbolico, nome-chiave per chiudere, giusto un secolo dopo, il prestigio del magistero alto di Memling. Come a dire: vediamo in un secolo che ne è, quale il destino, di quell'arte preziosa e cottile, che fece la fortuna universale delle botteghe dei pregevoli miniatori di Bruges. Dal genio alla bottega, dall'invenzione al canone ripetuto. La leggenda (che si avvale anche di un titolo suggestivo come quello del romanzo di Rodenbach, Bruges-lamorte) vorrebbe che dopo Memling, che già incarnava una pittura più calligrafica e diligente, rispetto agli inarrivabih Van Eyck e van der Weyden, fosse calata una cortina di mestizia e di mediocrità: e che bisognasse attendere i Rubens o i Rembrandt, o almeno Van Dyck, per rifar festa. Ma allora dove situare i grandi Provoost e Isenbrant, Ge- rard David e Benson, o il mirifico miniatore Bening, che pure e spesso, con la loro sapienza grafica e decorativa, ci folgorano nei musei di arte fiamminga? Non è vero che Bruges, rapidamente surclassata dal più attivo porto di Anversa, anche per problemi geologici di progressivo interramento dei canali, fosse rapidamente! diventata una città morta. E non è vero, soprattutto, che finito il gran periodo di splendore medievale e tardogotico (bisogna tener conto che in quelle terre tutto avviene come in forte ritardo: il gusto architettonico e pittorico risulta nei confronti della nostra arte assolutamente arcaico, magnificamente rétro: basterebbe pensare che Pourbus muore quando Caravaggio è già un ragazzino precoce) la città, e l'arte di conseguenza, rapidamente :si spenga Come spiegare, altrimenti, quelle visite illustri di umanisti quali Tommaso Moro e Erasmo da Rotterdam, che è di casa, o di Dùrer, che viene accolto a Bruges come un eroe, e si mette a commerciare stampe italiane: Proovost ce ne ha lasciato un fiero ritratto, che è in mostra. Ma addirittura il grande filantropo spagnolo Juan Vivés, il pedagogo ante-litteram che nel suo De Subventione Pauperum (non a caso stampato qui, nel 1526, presso il multingegno editore Hubert de Croock) si ribellava all'istituzione dell'elemosina (perché anche la povertà va «incentivata» come un bene da far fruttare, cancellando ogni ombra di disoccupazione) ebbene scelse proprio la Bruges del suo amico-umanista Marcus Laurinus per venire a vivere in quella che era considerata, allora, la città felicemente realizzata degli ideali rinascimentali. Certo, dire Rinascimento, in queste contrade nordiche (che non posseggono vestigia greco-classiche e che hanno un'idea molto più moderna, meno restauratrice, della rinascenza nazionale) par quasi un controsenso. C'è ancora, nella città, che Dante citò per ben due volte nella Divina Commedia, come a ribadire la sua importanza storica e strategica, c'è ancora una casa considerata in stile «rinascimentale», all'italiana. E fa un po' sorridere perché costruita sempre e comunque con i lateiizi cotti sul posto, con i mattoni che fanno così poco rinascimento e che ci riportano ad un gusto tardo-gotico, qui in realtà mai abbandonato. Ma il ricco catalogo, anche in lingua francese (che sarà poi in due volumi) e che si chiama Bruges et la Reinaissance si occupa di spiegare in che cosa consistesse appunto quel rinascimento: intessuto anche spesso di lotte intestine tra cattolici (vincitori qui, mentre Gand diventa calvinista) e protestanti in fuga (tra cui molti pittori: come Marcus Gheeraerts, che diffonderà in Inghilterra l'arte dell'acquaforte o Pieter de Witte, cioè Bianco, che entrerà nella bottega di Vasari e diventerà famoso come arazziere dei Medici col nome di Pietro Candido, accanto al Von Straten, fiorentinizzato in Stradano). Spesso le stesse famiglie son divise, la moglie rimane cattolica mentre il marito-pittore, che ha osato anche nella sua arte troppe allusioni al malcostume della Chiesa Romana, è costretto a prendere la via dell'esilio: o se proprio si tratta di un artista che sa essere un mago del commercio, precauzionalmente si prende bottega anche ad Anversa o Gand, e tiene il piede in due staffe. Del resto perfino il clero cattolico è tenero, e commissiona opere, per esempio, al rassicurante Pourbus, anche se si conosce la sua vena calvinista. Ma in città la verve umanistica non viene mai meno: ci sono eruditi-tipografi come Goltzius, grande pittore e conoscitore numismatico, stampatori sottili come Colard Manxon e Caxton, e poi i cosiddetti musicisti oltremontani, raffinatissimi quali Willaert o Jacob Clement, detto Clemente-nonPapa, tanto era famoso, per distinguerlo da Papa Clemente VII de' Medici. Il commercio culturale tra i due mondi è continuo: si sa che cosa significasse per Firenze l'arrivo in città del Trittico Portinari di Hugo van der Goes, con quel vasetto in primo piano di miracolata natura morta. Appunto, il Portinari, con altri agenti, era un emissario a Bruges della banca dei Medici, ed era così chic riportare a casa un ricordino del Nord, come oggi si può regalare il cioccolato Lady Godiva. Illuminante, invece: l'unica scultura di Michelangelo che lascia allora l'Italia, plana qui: ammirazione di tutti, Dùrer conili preso, ma nessuWH? no sembra in¬ fluenzato da quell'arte. Anche opere in maiolica dei Della Robbia sbarcano a Bruges ma la tipologia delle loro Madonne non attecchisce: semmai gli artisti rimangono suggestionali dai festoni, dalle grottesche. La mostra è splendida perché permette soprattutto a noi, meridionali, di verificare l'impermeabilità iconografica tra questi due universi. Imperturbabili, gli artisti fiamminghi continuano a tessere le loro storie minuziose e fiabesche, in cui persino i peli della barba di un martire o le usure delle pantofole sacre vengono descritte con religiosa dovizia. Perché si sa: Dio è anche nel p'.ù microscopico, infimo dettaglio. Marco Vallora Le lotte fra cattolici e protestanti favoriscono la vivacità culturale Arriva Tommaso Moro e Durer commercia stampe italiane li WH? Qui accanto «La Madonna dei sette dolori» di Adrian Isenbrandt, realizzato nel 1530. A sinistra «Memento mori» di Jan Provoost, del 1522

Luoghi citati: Anversa, Bruges, Firenze, Inghilterra, Italia, Rotterdam