«Voglio lo sciopero, non la crisi» di Bruno Gianotti
«Voglio lo sciopero, non la crisi» Il leader Cisl dal meeting di Rimini: sottovalutati i dati sull'occupazione, ci vuole una scossa «Voglio lo sciopero, non la crisi» D'Antoni: ma il governo deve muoversi RIMINI. Tutti contro la disoccupazione. Il Nobel Franco Modigliani annuncia la sua panacea e il ministro Bersani, da Rimini, torna a spiegare che la disoccupazione non deve far paura. Ma l'amicizia resta sugli striscioni del meeting: quando si parla di occupazione, scattano l'attacco al governo e l'appello allo sciopero generale. L'attacco è isolato, per ora, ma frontale: Sergio D'Antoni, leader della Cisl, spera che Cgil e Uil si facciano coinvolgere nella sua crociata contro rimmobilismo di Prodi e contro l'ottimismo del ministro dell'Industria. Punto di partenza, i 20 mila posti di lavoro persi in un anno dalle grandi aziende. Segnale d'allarme trascurato, dice D'Antoni, la goccia che fa traboccare il vaso. Troppe promesse non mantenute: «Il Pil - elenca - doveva crescere del 3%; siamo attorno al 2 e Prodi dice che tutto va bene. Aumenta la disoccupazione al Sud e si dice che tutto va bene. A noi invece non va bene e per questo dico che bisogna cambiare». Poco importa se Bersani ha appena detto che, in sostanza, i dati sull'occupazione vanno letti complessivamente: se la grande industria ha perso, c'è stata compensazione con gli aumenti nel settore del turismo e nella piccola e media impresa. E resta da vedere cose succederà nella seconda metà dell'anno, con la possibile ripresa delle costruzioni. Bersani si aspetta mi contributo, insieme con una nuova spinta dal «fattore flessibilità», inteso come organizzazione, utilizzo di impianti, orari, ingresso e presenza parziale di lavoro. D'Antoni lancia segnali di guerra e il popolo di Comunione e Liberazione applaude: «L'autunno sarà caldissimo, assolutamente sì. Sono convintissimo che le cose siano pesanti e per superarle bisogna dare una forte spinta perché cambino, come può essere lo sciopero generale». L'obiettivo è la crisi del governo Prodi? Non proprio, puntualizza il numero uno della Cisl: «Io non la voglio. Voglio però che il governo faccia le cose. Per questo faccio lo sciopero generale e se mi si dice che voglio la crisi, rispondo che questo è un ricatto politico inaccettabile per qualunque sindacalista degno di questo nome». Ma se Cofferati e Larizza non sentono o non vogliono sentire le parole sciopero generale? Niente paura: «Certo, da soli non lo facciamo: è importante che l'intero movimento sindacale italiano si mobiliti su questi temi. Per ora gli altri non hanno ritenuto che esistano le condizioni per farlo, ma noi insisteremo e i fatti sono incontestabili: prima o dopo gli altri si arrenderanno». Poi la frecciata, diretta a chi vuol capire: «Noi abbiamo fatto gli scioperi contro i governi democristiani. Se avessimo usato i criteri che usano loro, non ne avremmo mai fatto uno». Bersani non ci sta, replica con un «ingeneroso» rivolto al ragionamento della Cisl: «Non è vero che stiamo lì a far niente. Nessuno è attaccato alla sedia, ma non abbiamo bisogno di D'Antoni per dire che dobbiamo andare a casa». Ricorda i 2 milioni e mezzo di miliardi che fanno immane il debito pubblico, rilancia il dialogo, il rapporto con le forze sociali e ribatte che il governo potrà anche cadere «ma non per beghe di corrente, ma per i problemi del lavoro». Frattanto, da Milano, arrivano le anticipazioni sul «manifesto» per l'occupazione che Modigliani ha messo a punto insieme con un pool di economisti italiani e stranieri. Un fiero colpo alla «politica monetaria restrittiva» seguita finora. Modigliani sostiene che l'inflazione non deve più preoccupare, ma che non ci sarà nuova manodo¬ pera in assenza di domanda. Quindi, al primo posto, l'abbattimento dei tassi deciso dalla Banca centrale europea, visto che «non sono più cosa che riguardi Fazio o Ciampi»: sarà un motore di investimenti. Altro punto, più indigesto, un accordo con i sindacati che punti alla «graduale eliminazione delle leggi protettive con l'obiettivo di arrivare a una situazione in cui l'azienda può licenziare con la semplice ec¬ cedenza di personale accettata come giusta causa». Sarebbe un antidoto, aggiunge Modigliani, alla legge sulle 35 ore che «anziché creare ricchezza obbedisce al perverso principio di spalmare la miseria». Due punti che ricompattano il sindacato. Sul primo c'è un accordo unanime. Sul secondo un'opposizione altrettanto ferrea. Per D'Antoni è frutto di una scarsa conoscenza della realtà italiana, mentre Gaetano Cerioli (Cisal) la vede come «il ritorno al medioevo delle relazioni industriali», Giuseppe Casadio (Cgil) la rifiuta perché «la possibilità di licenziamenti individuali senza giusta causa avrebbe effetti devastanti sul piano sociale» e Paolo Pirani (Uil) la bolla come «ricetta inaccettabile». Bruno Gianotti Modigliani propone «Abbassare i tassi e licenziamenti liberi» Il ministro dell'Industria, Bersani Sopra, Sergio D'Antoni
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