«Aiutava il fratello con i soldi della Chiesa»

«Aiutava il fratello con i soldi della Chiesa» Secondo l'accusa, il fiume di denaro tra i due Giordano avrebbe sostenuto un giro di usura «Aiutava il fratello con i soldi della Chiesa» IIpm: il cardinale non ha mai usato i propri beni NAPOLI. Sospetti pesanti su un «vorticoso giro» di fondi tra i due fratelli, testimonianze su un presunto impegno del cardinale Michele Giordano a soffocare lo scandalo e un'ipotesi investigativa definita di «sconvolgente gravità»: quel giro di usura scoperto in Lucania potrebbe essere stato sostenuto «almeno in parte con denaro ecclesiastico». La procura di Lagonegro ha giocato le sue carte quando, dopo aver iscritto il 14 maggio scorso l'arcivescovo di Napoli nel registro degli indagati, ha chiesto e ottenuto che una sua utenza telefonica riservata in Curia venisse messa sotto controllo. Quanto era già emerso dall'indagine si è rivelato sufficiente a convincere il gip Umberto Rana, che il 28 maggio ha autorizzato le intercettazioni telefoniche per quindici giorni definendole «indispensabili». Che cosa ha indotto il giudice a un passo che adesso è finito al centro della polemica rovente tra Chiesa e magistratura? Si comincia dai conti. Gli inquirenti parlano di «una intensissima e allo stato ingiustificabile movimentazione di ingentissime somme di denaro tra il cardinale Michele Giordano e suo fratello Mario Lucio», per un totale di circa un mi¬ liardo, tale da rendere - secondo il gip che dice sì alle intercettazioni - «legittimi i sospetti sul possibile coinvolgimento dell'ingente capitale nell'attività usuraia». Con il denaro versato a vario titolo dall'Istituto delle Opere di Religione, ovvero circa 710 milioni, il geometra di Sant'Arcangelo di Potenza ha azzerato debiti per soli 670 rnilioni, dicono gli investigatori, secondo i quali una «parte consistente del denaro liquido ricevuto», ovvero almeno 170 milioni, «è finito nelle tasche del gruppo Giordano per un utilizzo di natura diversa dal saldo debitorio». A far sospettare «una compartecipazione» del cardinale e dell'allora responsabile delle Opere di Religione, Aldo Palumbo (morto il 19 maggio per un'ischemia), è «l'ingiustificato afflusso di denaro Uquido» giunto alla società Gfl Investimenti, che fa capo a Mario Lucio Giordano, sia attraverso assegni consistenti, sia con titoli di importo fino a 20 milioni per non incorrere nei controlli della legge antiriciclaggio. Gli inquirenti parlano in proposito di «accortezza raffinata»: «E' evidente che nessuno doveva avere una qualsiasi notizia di tali esborsi». I magistrati, a sostegno della tesi di un intreccio finanzia- rio che non trova motivazione attendibile, citano anche una «lettera-testamento» trovata nella cassaforte del fratello del cardinale, nella quale si dispone tranquillamente dei fondi sul conto aperto dal presule nell'agenzia del Banco di Napoli di Sant'Arcangelo. Ma per convincere il gip della necessità di mettere sotto controllo il telefono del cardinale, la procura cita anche le testimonianze di Filippo D'Agostino, il conduttore dell'emittente radiofonica che denunciò il giro d'usura, e di Leonardo Tatalo, una delle vittime dell'organizzazione. Tutt'e due hanno sostenuto che l'ex direttore dell'agenzia del Banco di Napoli di Sant'Arcangelo, Filippo Lemma, incontrò mons. Giordano quando era già scattata l'indagine amministrativa sull'illecita gestione dell'Istituto. Lemma, hanno affermato i due testimoni, riferì loro «dell'impegno del cardinale di far tacere e governare le possibili iniziative del Banco di Napoli nei confronti delle posizioni irregolari». E Tatalo ha sostenuto di aver egli stesso accompagnato Lemma «per ben due volte presso l'abitazione di Giordano». E se gli inquirenti liquidano le giustificazioni dei versamenti al fratello fornite in prima battuta dal cardinale, che sostenne di dover far fronte alla gestione della casa di famiglia - di «entità irrisoria» viene definito l'importo relativo ai consumi di luce, acqua e gas - non risparmiano critiche neppure alla tesi di un aiuto al fratello indebitato. «Va da sé sottolinea la procura - che l'eventuale reale intento del cardinale di aiutare e finanziare il fratello in difficoltà poteva avere ben più onesto e attendibile epilogo nell'utilizzo di cespiti patrimoniali personali dell'alto prelato, quali l'abitazione di Sant'Arcangelo e gli altri beni immobili suoi personali». «Utilizzo - si stigmatizza che non risulta avvenuto, mentre consistente ed emblematico appare l'uso sistematico di grosse somme liquide di sicura spettanza dell'arcidiocesi di Napoli dirottate, anziché per fini istituzionali, ad apparente beneficio esclusivo dei familiari del cardinale». Mariella Cirillo 66 Qui c'è la chiesa del paese lesionata e inagibile, ma il cardinale non ha mai fatto niente. In compenso la sua casa, quella del fratello e l'altra del nipote sono state ristrutturate con la legge 219 del dopoterremoto j| J 66 So di cambiali e passaporti falsi e anche di una riunione con un pregiudicato della 'ndrangheta che offriva denaro per riciclare il riscatto di un sequestro. Andarono sull'Aspromonte con una valigia piena ^ej

Luoghi citati: Lagonegro, Lucania, Napoli, Potenza, Sant'arcangelo