Simonetta, nebbie e ironia di Alessandra Comazzi

Simonetta, nebbie e ironia Lo scrittore milanese è morto ieri a 72 anni; fu lui a scoprire Benigni Simonetta, nebbie e ironia Dal Cerutti Gino a Nonno Felice * IL suo nome era Cerutti GiI no, ma lo chiamavan DraI go, gli amici al bar del I Giambellino dicevan ch'e= Ira un mago». La cantava Giorgio Gaber, quand'era ancora magro magro e segaligno, col naso lungo come una salita. Quella canzone gliel'aveva scritta nel 1961 Umberto Simonetta, che è morto ieri a Milano, all'Istituto dei tumori dove era ricoverato. Aveva 72 anni. Le parole di quel vecclùo brano, carico di nebbia e di malinconica ironia, sono diventate parte del linguaggio comune. Ed è una sorte toccata ad altre idee di Simonetta, come il titolo di un suo spettacolo del '78, Mi voleva Strehler. Quanti sogni infranti, quante speranze, quanti giochi delle possibilità, dietro a quel titolo. Mi voleva Strehler faceva parte del destino teatrale di Simonetta, che di destini ne aveva più d'uno. Autore di canzoni, di copioni teatrali ma anche di programmi televisivi, collaboratore al Giornale e al Giorno, aveva pubblicato tre romanzi, Lo sbarbato, Tirar mattina, Il giovane normale, tutti e tre scritti in lingua popolare, anche se rifinita nei dettagli. A metà degli Anni Novanta, Oreste del Buono li aveva scovati e ristampati per Baldini & Castoldi, unificandoli sotto un titolo solo, Le ballate del Cerutti. Da II giovane normale, Risi aveva tratto un film con Lino Capolicchio nel ruolo del giovane milanese che viaggia attraverso la Tunisia, la Spagna e la Costa Azzurra, cercando di capire i tempi suoi. Il ragazzo del film è milanese, e Milano è stata la vera protagonista dell'opera di Simonetta: la Milano miracolata dal boom, ma ancora città di ballatoio, tram e taverne («Si passa la sera scolando barbera, nel Trani a gogò», sempre sua); poi la Milano della contestazione, dei cabaret, dei nuovi luoghi comuni. Uno dei Fu romanziere e autore di molte canzoni di Gaber. Famosi i suoi monologhi: «Mi voleva Strehler» «Ne ho mangiata troppa» primi telegrammi arrivati dopo la morte è quello del Teatro Franco Parenti, ex Pierlombardo, per il quale Simonetta aveva curato la messa in scena dell'Adalgisa di Gadda. E il telegramma dice: «Con Simonetta scompare l'ultimo dei nostri autori di teatro che portava in scena la realtà con un calibratissimo distacco ironico». Non sono parole di circostanza, ma inquadrano la duplice matrice della sua opera: realtà e ironia. I suoi lavori teatrali erano essenzialmente monologhi: Ne ho mangiata troppa, scritto con Luca Sandri, in scena nel '94, è il monologo di un frustrato, un velleitario: sogni di gloria e porte in faccia, tentazioni tragiche ma effetti comici, deliri di rivincita e se stesso sempre al centro di un mondo crudele. Personaggi e ambienti di cui Simonetta era esperto: anche Mi voleva Strehler (scritto con Maurizio Micheli), Mi riunisco in assem- Qui sopra Umberto Simonetta; lo scrittore ha firmato molti testi per le canzoni di Giorgio Gaber (qui accanto) ed è stato autore della sit-com «Nonno Felice» (in alto a destra) blea, Sta per venire la rivoluzione e non ho niente da mettermi erano confezionati con gli stessi ingredienti dolceamari. Il più famoso, Mi voleva Strehler, racconta di un attore giovane che riesce ad avere un appuntamento per un provino con il grande regista. Ed eccolo, tra il camerino, la pedana del cabaret e la stanza in cui vive, prepararsi all'incontro col «maestro». Pensa all'abbigliamento o al travestimento più adatto, alle parole da usare, ai pezzi da recitare per fare colpo. Mentre sceglie tra un maglione nero, una giacca con le code e un boa di struzzo, mentre si dibatte tra Cechov e Shakespeare, racconta la sua giovinezza velleitaria trascorsa fra gruppi universitari e nella Milano pseudo artistica dei Caroselli televisivi (quella che di lì a poco diventerà la «Milano da bere»). Poi ci fu la televisione, per Simonetta: di recente, nel '95, il telefilm Nonno Felice, con Gino Bramieri e Franca Valeri che si scambiavano ruvidi affetti la domenica pomeriggio; nel 1976, il dissacrante Onda libera, il programma che andava in onda sulla seconda rete Rai, e che fece conoscere al pubblico Roberto Benigni. L'attore trasmetteva da Televacca: vestiti i panni del contadino Mario Cioni, tra ramazze, mucche e fieno irruppe nella sonnacchiosa vita televisiva italiana. Aiutato da Simonetta, schivo e milanese. Alessandra Comazzi

Luoghi citati: Milano, Spagna, Tunisia