« Ora abbassiamo i toni di Pierangelo Sapegno

« Ora abbassiamo i toni « Ora abbassiamo i toni //procuratore: ho rispettato le leggi menti da parte del cardinale e del suo avvocato, e non perché abbiamo fatto un passo indietro rispetto alla decisione presa, perché questa era sbagliata». Potremmo andare avanti all'infinito, perché fra accuse, voci e sospetti, questa è una disfida che annuncia ancora altre puntate. Certo è che fino adesso, tutt'e due le parti paiono avere le loro ragioni. Dice il cardinale: «E' giusto indagare. Ma non possono trattarmi come un imputato». E' vero. «E poi, perché la perquisizione?». Già, perché? Rispondono le carte. Leggiamole. Primo. Il cardinale è indagato «per aver contribuito con l'approvvigionamento di diverse centinaia di milioni sul proprio conto corrente n. 27/775 di cui consentiva al fratello Mario Lucio l'utilizzo esclusivo fornendogli anche un intero carnet di assegni prefirmati in bianco - all'attività costituita da Mario Lucio Giordano, Filippo Lemma e Michele La Casa diretta alla commissione di mia molteplicità di reati di usura». Bisogna dimostrare che il cardinale sapesse. E poi, perché la perquisizione nella Curia? Era «davvero necessaria»? Ancora dalle carte: «Vi è fondato motivo di ritenere che nei locali della Curia possano rinvenirsi documenti costituenti corpo di reato». Quali documenti? Risposta: contabilità, carte, assegni, note, per dimostrare che il cardinale sapeva dell'attività del fratello. Chi ha ragione? Fino a qui è l'indagine evidente. La guardia di Finanza cerca riscontri: a) su un blocchetto di assegni in bianco, quello a cui fa riferimento l'avviso di garanzia; b) un assegno da cento milioni per il fratello, dal quale, parte quest'inchiesta sull'usura; c) un numero di assegni indefiniti per complessivi 200 milioni; d) un'apertura di credito di 400 milioni, garantita dall'abitazione del fratello. Poi c'è quella nascosta, che forse non si dovrebbe conoscere. Non ci sono più le carte che parlano, ma solo le voci. E risulta che: il cardinale gestisce diversi conti a sua firma, o con firma delegata. Uno, presso il Banco di Roma a Napoli, numero 6228, dove ci sarebbe una commistione di soldi suoi e della Curia: da questo conto risulterebbero movimentati 10 miliardi in un anno, nel 1997. La guardia di Finanza vuole capire quali sono suoi e quali no. Altri conti sono al Banco della Provincia di Napoli e al Banco di Napoli: alcuni di questi sarebbero intestati a enti ecclesiastici con firma sempre sua. La Curia spiega che si tratta di fondi utilizzati per far fronte alle più svariate esigenze della diocesi napoletana: spese correnti per la gestione ordinaria riguardanti le necessità «primarie», pagamenti di stipendi, forniture, fondi per la facoltà di Teologia, borse di studio per i seminaristi. Tutte queste indagini su Sua Emi¬ nenza partono da un'inchiesta, dove gli indizi nei confronti di suo fratello sono davvero pesanti. Ma basta tutto questo per mandare sette macelline della Finanza in Curia davanti ai giornalisti che aspettano? Risponde il cardinale: «Io sono povero. E quei pochi soldi che resteranno dopo la mia dipartita, spero per il Paradiso, li lascerò alla Diocesi di Napoli, per poter svolgere attività di culto e di carità. Perché i miei soldi se ne vanno così. Tutti. Anche quelli personali». E alla seconda domanda, perché tanti conti a sua disposizione?, Sua Eminenza ha già risposto più di una volta, precisando che quella di Napoli «è la terza Curia d'Italia». E sarà pur vero che una Curia ha altre esigenze e ha altri bilanci, da una qualsiasi società a scopo di lucro. O non è così? O non è «sempre» così? Pierangelo Sapegno

Persone citate: Filippo Lemma, Mario Lucio, Mario Lucio Giordano

Luoghi citati: Italia, Napoli