Coda di Lupo e la sua tribù di Franz Di Cioccio

Coda di Lupo e la sua tribù Coda di Lupo e la sua tribù PRIMA il tour nei palasport, poi quello teatrale e ora l'appendice estiva. Non avrei mai scommesso su Fabrizio st.akanovista dei concerti. E' davvero una sorpresa. «Non credo di vendere triglie senza sapore» ha dichiarato in una intervista. Questa affermazione dal sapore tipicamente ligure è molto esplicita: il concerto è buono, la gente si diverte, perciò mi va di suonare. Determinato e motivato il Fabrizio di oggi! Ai tempi della tournée con la Pfm era impensabile: fare i concerti non era proprio il sogno della sua vita. Troppa gente, troppi curiosi; e poi, quella malcelata ansia da pubblico lo teneva sempre sul chi va là. «Meglio la Sardegna e le mie mucche», diceva. Più che superare l'antico problema, penso che ora abbia imparato a conviverci. Forse fu proprio con noi che cominciò a sconfiggere la sindrome dei concerti. Prima aveva suonato solo con i New Trolls e l'esperienza era stata interessante ma anche un po' traumatica. Con Pfm c'era un altro rapporto; eravamo i musicisti che avevano suonato nella «Buona Novella», quelli che avevano girato i palchi di mezzi mondo, quelli coi quali aveva deciso, una sera a Tempio Pausania, di rivestire a nuovo la sue canzoni dando vita all'operazione più azzardata dell'epoca: un cantautore e mi gruppo per la prima volta insieme sul palco in una sola anima. Come se fosse facile! Ma poi, vai a sapere qual è realmente l'anima di De André: mica ne ha una sola! Quando siamo stati vicini sul palco era il «periodo indiano». Ognuno di noi Pfm aveva un nome pellerossa e quella specie di gioco aveva preso un po' tutti. Eravamo guerrieri pronti a coprire le spalle di Fabrizio coi nostri suoni, i .colori e l'entusiasmo da band dal Uve facile. Lui era «Coda di Lupo», appellativo mutuato dal titolo di un brano dell'album «Pùmini». Ovviamente era il grande capo e raccontava storie come un vero sciamano sa fare. Storie di Fabrizio nato borghese con il cuore anarchico. Lui ha sempre amato le etnie sopraffatte, i libertari, i popoli minori e le storie dove ci sono sempre le anime salve che ti fanno pensare. Così, in quella tournée, si parlava prevalentemente di pellerossa. Ma non solo... Navajos e Garda Lorca, Piute e Vangeli apocrifi, Black Feet e bagasce, per finire alle faide tra famiglie sarde in un caleidoscopio di varia umanità. Mi regalò un libro che lesse in una notte (è il tempo medio che ci mette a leggerne uno...) sugli Apaches e uno di quegli amuleti portafortuna che si chiamano acchiappasogni. Il mio nome in quel tour era «Due Orsi». Non ho mai capito il perché, ma, visto che sono abruzzese, lo accettai volentieri. Il riferimento all'orso mi piaceva: fa parte delle mie radici. Ciò che oggi mi sorprende di Fabrizio è questo recupero della famiglia. Credo sia l'unico artista italiano che porti sul palco tutta la sua prole. In tempi di assoluta confusione per il ruolo della famiglia come punto fermo di questa società, e del disprezzo dei valori ad essa collegati, ecco Fabrizio patriarca che si inventa il family tour. Cristiano, suo figlio, è diventato un elemento prezioso (in questo periodo è lontano dalle scene per motivi di salute) grazie a tutte quelle sfumature musicali assimilate stando vicino al padre e vicinissimo ai musicisti che hanno collaborato nei suoi dischi. Era così anche nella tournée con noi, una «piccola peste», sempre pronto a suonare tutti gli strumenti che gli capitavano a tiro. Di Luvi so poco, ma ha già un posto nel coro e per il momento è sufficiente. In tempi di tecno e campionamenti, dove il rap a cantilena ha preso il posto della poesia, dove i cloni sono star e gli artisti sono solo uomini, dove l'individuahsmo è il padre e la madre di tutte le iniziative musicali, «Coda di lupo» applica la lezione pellerossa e porta con sé tutta la sua tribù. Il grande capo si attornia di nuovi guerrieri, pronti a seguirlo in questa avventura controcorrente. Eccolo ancora sul palco, in quello stadio con i monti attorno, scontornato dai consueti umori e rumori calcistici, uno stadio diverso, che respira e sa di praterie e di uccelli. Come in un accampamento Sioux. Franz Di Cioccio

Persone citate: Black Feet, De André

Luoghi citati: Sardegna, Tempio Pausania