Una porta d'accesso all'inconscio
Una porta d'accesso all'inconscio IPNOSI Una porta d'accesso all'inconscio ATTACCHI di panico, fobie, gastriti e ulcere, sonnambulismo; tutti disturbi che paiono per chi li vive una sorta di «inferno in terra». A niente servono la volontà o la rassicurazione degli amici che si tratta solo di fantasie o di fissazioni e a ben poco gli psicofarmaci che, oltre a produrre dipendenza, assuefazione e numerosi effetti indesiderati, limitano il loro effetto al periodo di assunzione. Pare che non resti che imparare a conviverci. Ma un rimedio esiste davvero... e funziona: l'ipnosi. Cosa sia questa tecnica e prima ancora questo fenomeno è per i più un mistero; di certo la spettacolarizzazione e la banalizzazione che ne fanno sedicenti maghi sui palcoscenici di tv o baracconi non ne aiuta la comprensione; anzi, non fa altro che esaltare le dicerie, i pregiudizi e le leggende che gravitano attorno all'ipnosi. Prima di spiegare di cosa si tratta, vediamo di sfatare almeno alcune di queste false credenze: per ipnotizzare chicchessia innanzitutto non è necessario possedere doti particolari o fluidi magnetici; l'ipnosi poi non è sonno; non significa perdere la coscienza né il controllo di sé. Durante l'ipnosi non si parla (o lo si fa solo dopo un lungo e laborioso allenamento), non si rivelano segreti, né si lasciano varchi da cui possano risalire traumi del passato o sensazioni da incubo. L'ipnosi è essenzialmente un modo particolare di comunicare : non attraverso la parola monotona o ripetitiva che sia, né per mezzo dello sguardo o facendo fissare un pendolo; l'ipnosi è l'uso consapevole o involontario di una comunicazione che ci mette a diretto contatto con la fonte di tutti i nostri problemi psicologici: la sfera inconscia. La ricerca sulla comunicazione ha dimostrato come toccamente gesti, suoni, rumori, variazioni della distanza interpersonale siano messaggi governati da un'articolazione interna che prende il nome globale di «comunicazione analogica» e che quest'organizzazione sia la stessa che Freud ha rintracciato in sogni, lapsus, atti mancati, ecc. Quale veicolo migliore allora che usare proprio questi segnali per connetterci con l'inconscio? E' questa la conclusione a cui è giunto uno dei maggiori esperti italiani della materia, Stefano Benemeglio. Peraltro, l'osservazione minuziosa delle interazioni quotidiane ha dato ragione a questa intuizione, dimostrando empiricamente come gli scambi a livello di gesti, sguardi, autocontatti, ecc. siano in alcuni momenti accompagnati da chiari segni di trance ipnotica. Da qui, si è capito che l'impiego della comunicazione non verbale è il modo più naturale ed efficace di indurre un'ipnosi; i suoi vantaggi sono molteplici: è estremamente duttile; non richiedendo attenzione o concentrazione, aggira le resistenze della mente razionale; inoltre, funziona su tutti. Il procedimento? L'operatore ipnotico somministra delle stimolazioni con il proprio linguaggio del corpo e osserva le reazioni del soggetto, selezionando quindi quei segnali che per loro natura inducono un'alterazione dello stato di coscienza (dilatazione delle pupille, fissità dello sguardo, oscillazioni del corpo, scatti muscolari involontari, ecc.). Alle volte queste risposte sono minime: non importa, l'ipnotista modifica le modalità con cui produce l'atto (distanza, velocità, direzione, ecc.) per trovare la .(forma» che meglio si «incastona» in queste porte d'accesso all'inconscio. Sembrerebbe un compito facile, ma al di là dell'apparente semplicità del metodo, la sua applicazione comporta un lungo e faticoso affinamento delle proprie facoltà percettive da parte dell'ipnotista. Il vero operatore ipnotico non è infatti chi ti dice «dormi», ma chi è in grado di cogliere variazioni minime nella fisiologia osservabile del soggetto: più simile se vogliamo, ad uno Sherlock Holmes che a un Harry Houdini. Marco Pacori
Persone citate: Freud, Harry Houdini, Marco Pacori, Sherlock Holmes, Stefano Benemeglio
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