Dionisotti, la Storia non può dimenticare

Dionisotti, la Storia non può dimenticare F L'EREDITA' Di UN MAESTRO =1 Dionisotti, la Storia non può dimenticare PRT volte Carlo Dionisotti venne sollecitato a raccogliere i propri «studi sparsi» entro una cornice che egli sentisse adeguata al proprio sentire storico. Rifiutò sempre; accolse infine l'invito delle Edizioni di Storia e Letteratura, sembrandogli effettuosa ricorrenza far coincidere il proprio libro di novantenne con il centenario di monsignor Giuseppe De Luca, nel ricordo di tante speranze comuni, condivise - da Palazzo Lancellotti - con Momigliano e Campana e Branca. Ora la commemorazione tocca, dolente, entrambi ed il libro rimane, anch'esso, testimonianza di un'Italia che non è più {Ricordi della scuola italiana, pp. 632, L. 130.000). Libro, infatti, memorabile, eppure doloroso «di risentimenti», e asciutto insieme, alla «ricerca della verità o probabilità storica, quale che sia, non della promozione di una qualunque parte» [Premessa, datata «Romagnano Sesia, settembre 1997», pochi mesi dopo, il congedo). I saggi che seguono disegnano ad un tempo un i profilo ragiona- ^ to della storia letteraria italiana, a partire da un lungo saggio incipitario dedicato alla Storia e ragione di ogni poesia di Francesco Saverio Quadrio, e una galleria di compagni di via, sodali nell'impegno civile, nelle idealità morali, suggellate nel ricordo di Arnaldo Momigliano e Delio Cantimori. Il volume è un sobrio e appassionato profilo autobiografico, la storica evocazione di precursori, nella via dell'espatriare - per continuare a testimoniare. Soprattutto i due saggi dedicati ad Antonio Panizzi sono un vero e proprio autoritratto dionisottiano: «Due aspetti della vita di Antonio Panizzi sono a prima vista notevoli: l'aspetto originario, italiano, del cospiratore e dell'esule, che, pur metten • do radici in terra straniera, non cessa di essere partecipe, a piudente distanza ma in modo efficace e autorevole, degli eventi politici che mutano volto alla sua patria, e di contro l'aspetto inglese, di uno straniero senza titoli di nobiltà, italiano per giunta, che non si contenta di campare con l'abilità sua [...], ma finisce coll'essere accolto da pari a pari, o poco meno, in quella società stessa» {Panizzi esule). E, non meno, il continuo dialogo con la propria terra, che oggi si legge come lucida e inquieta profezia come nella conferenza, Torino, Milano e Genova: «Mi ero necessariamente reso conto del fatto che la mia città non era più quella commemorata dai suoi monumenti e dai libri di scuola, e che il mutamento era dovuto alla degradazione da capitale di un regno a capoluogo di provincia, ma anche all'acquisto di una grande industria e per essa di una dimensione superiore di gran lunga a quella della vecchia capitale. Nei tardi Anni Venti la cultura stessa della città era stata scossa e arricchita dagli interventi dell'industriale biellese Riccardo Gualino. Mai più si era visto un tale esempio di mecenatismo dai tempi di Carlo Alberto. Il precedente non era di buon augurio, e il nuovo mecenatisnmo finì presto e male». Di tante storie, cominciate bene e finite male per Torino, di espatri e allontanamenti, è gremito il libro, ironica e Carlo DioGli studidell'italiaun'ironica ripresa di P(e) spiemomine I Torà I meni i onisotti di sparsi ianista: e dolente Piemontesi ontizzati dolente ripresa di Piemontesi (e) spiemontizzati, saggio allora dedicato appunto a Natalino Sapegno. Alla fine di tante partenze, sembra quasi affacciarsi la morale isolana del Verga, l'inutile altrove di tanti aneliti: «Un altro punto devo chiarire. Ho accennato alla comune provenienza, di Sapegno e mia, dall'Università di Torino. Aggiungo la provenienza dalla stessa regione. Storicamente, nella storia d'Italia, il Piemonte è un'isola, e non è casuale, è anzi significativo che il ducato di Savoia, crescendo e italianizzandosi, diventasse regno di Sicilia e poi subito, in forma più giusta, regno di Sardegna. Qualche traccia ha lasciato in Piemonte la gelosia propria delle tradizioni isolane. [...] La generazione di Sapegno e mia si affacciò alla vita in tempo per assistere alla fine di quel vecchio Piemonte, alla vergognosa disfatta del generale Cadorna nel 1917, all'altrettanto vergognosa dell'onorevole Facta nel 1922 e al tradimento del Re e della sua Casa illllllià nella stessa occasione [...]. La disfatta politica del vecchio Piemonte era irrimediabile, probabilmente definitiva: basti pensare alla riapparizione sulla scena del maresciallo Badoglio nel 1943». Non restava che partire. Altri dirà dell'erudizione, ancora più saporosa qui che altrove, dello studioso; della passione per la filologia e la storia, per la stessa università, nel compito - mai abbandonato - che la letteratura rivendica e conserva di formazione della nazione. Ma da Torino, questo monumentum non può non essere letto anche come la storia di una vocazione e di un destino, della città, dei suoi uomini migliori. Partì Dionisotti, ma da Londra non ha mai legittimato nessuna nostalgia, né tollerato alcuna forma obliosa e assolutoria di storia, e tantomeno dato credito alle penne vellicate da disinvolto revisionismo. Questo, a proposito dell'Italia del dopoguerra e d'oggi, l'ultimo giudizio, alla vigilia stessa della morte: «La concordia degli antifascisti, indispensabile in guerra, non ha escluso mai preesistenti e permanenti differenze e riserve. Ma fra il 1939 e il 1945 sta la guerra, sta la parte che in essa ebbe l'Unione Sovietica e anche la parte che in Italia ebbe il partito comunista nella resistenza e nella guerra civile. Nel 1945 la bandiera issata a Berlino dalla vittoriosa armata rossa era la bandiera anche del riscatto di quante nazioni avevano sofferto il barbaro dominio della Germania nazista; era in Italia la bandiera degli antifascisti d'ogni partito. Storicamente, l'equivalenza dei regimi totalitari, del nazifascismo e del comunismo, non regge. Altra questione è la richiesta, universale e perpetua, di maggiore giustizia in questo mondo: la giustizia che anche Renzo Tramaglino cercava. E resta che, con buona pace di Manzoni ma d'accordo con Dante, le vittime dell'ingiusta violenza, ovunque e sempre, chiedono e attendono la giusta vendetta». Grazie, Carlo Dionisotti, per aver creduto in quella «scuola italiana», scuola di libri, passione di verità. Cario Ossola Gli studi sparsi dell'italianista: un'ironica e dolente ripresa di Piemontesi (e) spiemontizzati i ^ illllllià Carlo Dionisotti