«Il mio Eymerich, i vostri incubi» di Dario Voltolini

«Il mio Eymerich, i vostri incubi» «Il mio Eymerich, i vostri incubi» N poco tempo è diventato uno scrittore molto popolare, Valerio Evangelisti. Nato a Bologna nel 1952, dopo aver esordito sulle pagine di Urania, ha dato vita a un personaggio forte, Nicholas Eymerich, inquisitore, protagonista (e titolo) del suo primo romanzo edito da Mondadori, cui sono seguiti Le cate dadori, cui sono seguiti Le catene di Eymerich; Il corpo e il sangue di Eymerich; Il mistero dell'inquisitore Eymerich; Cherudek; Picatrix. A settembre uscirà da Einaudi una sua nuova antologia di racconti, Metallo urlante. Grazie a Eymerich hai riportato l'attenzione su un genere letterario blasonato: la fantascienza. Onore al merito. Puoi raccontarci qualcosa di te? «Mi definisci "scrittore molto popolare" e me ne compiaccio, ma non so se lo sono effettivamente. Fino a un paio di anni fa, e in parte ancora oggi, i miei romanzi uscivano in collane che il mio stesso editore definiva "libri periodici", cioè collezioni di narrativa registrate come riviste. Di conseguenza ì miei romanzi, per quante copie riuscissero a vendere, non finivano mai nelle liste dei bestsellers, perché non erano considerati "libri" in senso proprio. Né vi era possibilità di essere recensiti in sede autorevole. Ciò anche per la scarsa simpatia di cui il genere fantastico gode nel nostro Paese, quanto meno tra la critica più accademica. D'altra parte non ho mai aspirato a entrare nell'empireo letterario. Il mio terreno era e resta quello della narrativa di massa, per scelta consapevole. Cioè il terreno, che ritengo straordinariamente gratificante, su cui si mossero Salgari e Conan Doyle, Dumas e Lovecraft. Perché gratificante? Be', Salgari viene ristampato ancora oggi. Si può dire altrettanto di Fogazzaro?». Qual è secondo te la situazione della fantascienza oggi in Italia? «Siamo, credo, alla quarta o quinta generazione. Chi ci ha preceduto (con quel "ci" intendo, oltre a me, Nicoletta Vallorani, Luca Masali, Franco Forte e altri ancora: gli autori che, apparsi di recente, hanno conosciuto un inatteso successo di pubblico) ha scontato una generale arretratezza della nostra società, oggi felicemente superata. Ma sia io che i miei colleghi, a differenza di alcuni dei nostri predecessori, siamo poco interessati a promuovere una fantascienza "italiana" in quanto tale. Il quadro odierno non consente localismi. Si scrive fantascienza e basta, e si è italiani solo in quanto si è nati da queste parti. Se peculiarità ci sono, sono legate al singolo autore. La scrittura è questione individuale, non certo nazionale». Quali sono le tue letture di scrittore? «Principalmente leggo saggistica, e in primo luogo testi di storia, di economia e di psicologia, spesso di taglio molto accademico. Poi leggo narrativa, fantastica ma non solo: nei limiti del possibile cerco di tenermi aggiornato con la produzione letteraria italiana corrente, a partire dagli autori che più stimo (Tiziano Scarpa, Enzo Fileno Carabba, Niccolò Ammaniti, Daniele Brolli, Aldo Nove, Francesco Piccolo ecc.). Leggo anche tutto ciò che riguarda altre mie passioni: il cinema di serie Z, l'informatica, le arti marziali, la teologia, l'alchimia, le religioni minori, le correnti scientifiche eterodosse. In linea di massima, adoro tutto ciò che, agli occhi di molti, costituisce una pura perdita di tempo. Mi piace perdere tempo». Puoi descriverci Eymerich? «Esteriormente, Eymerich è altero, crudele, sprezzante, asociale, spesso feroce. Interiormente, è un uomo tormentato, che soffre per la sua impossibilità di avere contatti col prossimo e reagisce accentuando la sua disumanità, fino a compiacersi di essa. In qualche momento, però, la corazza che si è costruita attorno cede per un istante. Subito dopo, però, Eymerich torna alla legge ferrea che si è imposto e che cerca di imporre, addirittura attraverso le ère storiche. E' razionalmente convinto che solo la Chiesa possa vincere la barbarie ed edificare un nuovo impero fondato sulla logica e sulla ragione. In nome di questo ideale tomistico è capace di tutto». Qual è la tua definizione di science fiction, o di fantascienza? «Preferisco usare il termine fantascienza, in cui la fanta è anteposta alla scienza e non viceversa. Ma anche così resta un'espressione difficilissima da definire. Io ho coniato una mia definizione, che sfodero ogni volta che posso. La fantascienza, a mio parere, è quella forma di narrativa che ha per tema i sogni e gli incubi generati dall'evoluzione scientifica, tecnologica e sociale. Ecco come la "science" si innesta nella "fiction": quale matrice di attività onirica e fantastica, cioè di quell'attività che è alla base stessa del narrare. Il filone letterario, peraltro tanto negletto, a cui mi onoro di appartenere, ha saputo, più e meglio di ogni altro, fare della scienza il propulsore di nuove leggende e di nuove narrazioni. Non vorrei che, malgrado il suo costante ricorso alla metafora, fosse l'unica letteratura davvero realistica del nostro tempo». Quali sono i tuoi progetti futuri? «Mi sto occupando di cinema, e più precisamente di un film e di una serie di telefilm sul mio personaggio (la produzione pensa a Jeremy Irons quale possibile protagonista, ma è prematuro parlarne). In ogni caso la mia vocazione non è la sceneggiatura, ma la narrativa in senso lato. Tengo molto alla raccolta di racconti, con e senza Eymerich, che uscirà a settembre nella collana Vertigo di Einaudi, intitolata Metallo urlante e ispirata al rock heavy metal che adoro. Mondadori, a cui riservo le storie di Eymerich più corpose, a settembre ristamperà in un unico volume i miei primi tre romanzi, e sto lavorando al loro editing. Inoltre mi accingo a curare in Francia per l'editore Hachettc, assieme al giallista italo-francese Cesare Battisti, una collana di romanzi in cui figurerà un buon numero di autori italiani. Poi ho in programma un noir ferocissimo scritto a quattro mani con Niccolò Ammaniti, uno dei miei amici più cari. Poi... Insomma, un sacco di roba». Dario Voltolini A colloquio con Merio Evangelisti: «Mi onoro di appartenere a un genere negletto»

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