I GIOVANI NARRATORI PIÙ CORAGGIOSI DEI CINEASTI
I GIOVANI NARRATORI PIÙ CORAGGIOSI DEI CINEASTI Parliamone I GIOVANI NARRATORI PIÙ CORAGGIOSI DEI CINEASTI su I HE la cultura italiana stia I " vivendo un periodo di gravi I difficoltà, rivelandosi incaI i pace, tanto in termini di ri\ó i flessione teorica che di opere creative, di controllare (di essere pari a) la complessità tecnologicosociale che caratterizza l'attuale tempo storico, è un dato di innegabile evidenza. Francia e Spagna con Pennac e Marias (per non parlare che della cultura letteraria), Germania con Handke sembrano più attrezzati di noi a farsi strada (a non smarrirsi) nella confusione di tragitti e percorsi per sempre disordinati dall'impetuosa invasione dei media. E' che la cultura italiana non sembra avere gli strumenti per prendere atto delle novità che intanto sono intervenute a sconvolgere il suo impianto tradizionale rispetto alle quali (novità) è capace solo di lamento non di conoscenza. Siamo capaci di lamentarci della televisione e del traffico, della perdita dei sentimenti e caduta degli ideali, della solitudine e estraneità che ha preso possesso di noi e non di risalire ai motivi che sono all'origine di questo malessere, e non di renderci conto (e farci coscienti) della frattura che ha spaccato il tempo facendo di ieri un passato definitivamente concluso e di oggi un futuro oscuro. Prendere in mano questo futuro, scoprirne il funzionamento, dovrebbe essere (è) l'impegno dell'uomo di oggi. E qui (noi italiani) la nostra cultura è in ritardo ancora assorta e indugiante nelle comodità oramai svigorite di una concezione del mondo meccameo-detenninistica non più in grado di spiegarci (di raccontarci) la realtà cui apparteniamo. A dire il vero nelle nostre lettere (in particolare in narrativa) qualche barlume di consapevolezza si è acceso: con Ammaniti, Scarpa, Nove (e gli altri «narratori dell'eccesso»), con i loro romanzi, così poco ossequiosi del canone letterario e così determinati a ritrovare (anche cedendo a sollecitazioni effimere) il filo di una socialità perduta, il mondo tanto ostile (tanto lontano) in cui viviamo si fa più vicino e ci scopre (ci fa conoscere) almeno le sue ragioni (la sua necessità). Ma altrove? Nelle arti figurative, nella musica, nel cinema? A giorni si aprirà la mostra del Cinema di Venezia. Vedremo molti bei film certo anche italiani (i fratelli Taviani, la Archibugi, Luchetti, Amelio). Ma è un caso che la Settimana della critica - sezione addetta a presentare opere prime - per mancanza di proposte adeguate ha selezionato per l'Italia una opera seconda? E' vero: fare un film non è come scrivere un romanzo. Il costo di un film, per piccolo che sia, si aggira intorno ai tre-quattro miliardi. E poi ha bisogno di distributori in grado di diffonderlo e sale capaci di accoglierlo. E gli uni e le altre oggi difettano non tanto (o solo) numericamente ma soprattutto perché sono organizzati intorno a interessi che non aiutano il buon cinema a nascere. Siamo in attesa (ma da quando?) di una legge antitmst e altro che corregga questa situazione. Ma basterà? Non è ancor prima indispensabile che gli autori non continuino a nascondere la testa di fronte alla urgenza di rinnovare il prodotto? Che si convincano che il cinema italiano è di poco interesse perché si affida a piccole storie che qualche volta sanno frugare con delicatezza nel privato ma sempre si infrangono contro il muro di rumore in cui l'attualità si consuma? Angelo Guglielmi
Persone citate: Amelio, Ammaniti, Angelo Guglielmi, Handke, Luchetti, Marias, Pennac, Scarpa, Taviani
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