L'ADDIO In Place des Vosges con Karen Blixen

L'ADDIO In Place des Vosges con Karen Blixen VOCI D'I.STATI. L'ADDIO In Place des Vosges con Karen Blixen Si avvia alla conclusione la nostra serie «Voci d'estate», parole chiave di un viaggio immaginario attraverso esperienze e memorie di letture. Dopo l'Attesa (Ammaniti), la Partenza (Voltolini), la Stazione (De Marchi), l'Incontro (Scarpa), la Tavola (Conti), il Letto (Pariani), il Silenzio (Vinci), è il momento dell'Addio, raccontato da Giuseppe Culicchia. Giovedì 27, ultima puntata, con il Ritorno, di Marco Drago. LA parola «addio» va usata con cautela. Maneggiata con cura. Somministrata con precauzione. Non dà la scossa. Non esplode. Non comporta effetti collaterali. Però, puzza. Di morte. Peggio che ima confezione di salmone norvegese aperta due settimane dopo la data di scadenza. E d'agosto, con questo caldo, il pesce avariato e i cadaveri in generale sono, da un punto di vista olfattivo, senz'altro da evitare. Almeno nei casi in cui ciò possa dipendere in qualche modo dalla nostra volontà. Per quanto mi riguarda, la parola «addio» non mi piace. Ogni volta che la pronunciamo, è noto, ci lasciamo qualcosa o qualcuno dietro le spalle. Di solito, a meno che non la si sia adoperata a sproposito, per sempre. Da parte mia cerco dunque di farne un uso moderato. Evitando, se possibile, sia gli abusi che gli sprechi. Cercando di limitarmi ad addii per così dire ecologici. Anche se, me ne sono reso conto subito, una moratoria unilaterale nei confronti degli addii non ha alcuna probabilità di successo: proprio come per quanto riguarda il nucleare militare. Parallelo perfettamente plausibile, del resto. Perché l'addio annienta, alla stessa marnerà della Bomba H. Dopo di esso non rimane che il ricordo. Ovvero, quell'ombra fotografata sulle scale di una banca, a Hiroshima, nel 1945. Con gli anni, lo ammetto, ho cercato di sviluppare un mio metodo anti-addii. Purtroppo, funziona soltanto con i posti. Non con le persone. Ma, come sosteneva uno scrittore che amo, i posti di norma sono migliori delle persone, e spesso doverli lasciare definitivamente può essere assai più doloroso dell'essere costretti a separarsi per il resto della propria esistenza da gran parte del genere umano. Il mio metodo anti-addii è nato per caso, a Parigi, poco più di dieci anni fa. Era la prima volta che mi ritrovavo a dovermene andare da quella città, suppongo per via del fatto che precedentemente non c'ero mai stato. Com'è ovvio, avrei preferito restarci. E, soprattutto, desideravo ritornarvi. L'ultimo giorno, siccome per natura sono un tantino ansioso, arrivai alla Gare de Lyon con quattro ore d'anticipo. Non poche, tenendo conto che non sopporto le stazioni, le attese e le partenze. Cartina alla mano, decisi di raggiungere Place des Vosges. Zaino in spalla: come tanti, ho anche le mie manie di persecuzione, e non mi fido dei depositi bagagli, nessuno escluso. Fuori dalla stazione mi sorprese un temporale. Arrivai alla verde piazza bagnato di pioggia e di sudore. Non ero ancora passato da Place des Vosges, prima di quel giorno. Sotto l'acqua le facciate dei palazzi splendevano di luce propria. Decisi di cercare rifugio sotto i portici, come avrei fatto se mi fossi trovato a Torino. E, in una piccola libreria accanto all'Hotel de la Heine, comprai una copia de La mia Africa, di Karen Blixen. In quell'istante, smise di piovere. Raggiunsi il monumento equestre al centro del perimetro delimitato dalie arcate e mi sedetti su una panchina, scegliendo con cura quella meno bagnata, al riparo degli ippocastani. Nell'ultimo capitolo del libro, intitolato «Addìo», trovai scritto: «Non ero io ad andarmene, io non avevo il potere di lasciare l'Africa, ma era l'Africa che lentamente, gravemente si ritirava da me, come il mare nella bassa marea». Lo scrittore che amo, oltre alla teoria sui posti che sono migliori delle persone, sosteneva anche che quello della Blixen fosse il più bel libro sull'Africa mai pubblicato. Può darsi. Di sicuro, è un libro che ha a che fare con l'addio dalla prima all'ultima frase, e un'infinita ma¬ linconia lo attraversa tutto quanto, impastata insieme alla carta delle pagine e ai caratteri tipografici. Soltanto in alcuni romanzi sono riuscito a non odiare gli addii, o persino ad amarli: l'ultima lettera di Werther a Lotte; l'ultimo sguardo di Gustav a Tadzio; il delirio nel quale il Giocatore perde Polina; lo stupore del detective Belane di fronte al passero; il definitivo diniego di Bartleby; il commiato di Clay da Los Angeles; la scena finale tra Brett e Jake, in cui lei gli dice: «Noi due saremmo stati così bene assieme», e lui le risponde: «Già, non è bello pensare così?». E poi Ulisse, Anna Karenina, Adriano. Va be'. Quanto a La mia Africa, promisi a me stesso che se mai avessi nuovamente messo piede a Parigi ne avrei comprata un'altra copia, sempre in quella piazza, sempre all'ultimo giorno di permanenza in città, come in un ri¬ to Masai capace di scongiurare l'addio e propiziare il ritorno. Eccolo qua, il mio metodo: ripetere ogni volta, a poche ore dalla partenza da un posto che amo, le medesime cose, tornando sugli stessi luoghi, compiendo le stesse azioni. A Roma, prima di andare alla stazione Termini, devo per forza dare un'occhiata alla Fahrenheit 451 in Campo de' Fiori e fare un boccone all'Hostaria Romanesca lì a fianco, gestita da un simpaticissimo Obelix. Ad Amsterdam non posso fare a meno di bere una cioccolata calda al Cafè Luxembourg guardando il viavai di ciclisti per lo Spui. A Marsala non manco di percorrere a piedi il tratto di strada tra Piazza della Loggia e Porta Nuova: purtroppo, obbligatoriamente, nelle prime ore del pomeriggio, quando d'estate la libreria del signor Pellegrino è chiusa. A Barcellona cerco sempre di pestare una merda di Pit bull sulle Ramblas, per poi infilarmi tra i banchi della Buqueria, dove l'odore di escrementi canini si perde tra i profumi di frutta e verdura. A Zurigo, arrivando alla stazione, ricordo in ogni occasione di scendere dal tram numero tredici una fermata troppo tardi, quando il mezzo ha già imboccato la Banhof Strasse. A Londra, invece, nonostante la scomodità di dover poi cambiare due linee della metropolitana per raggiungere l'aeroporto, andavo di solito in un bar di Notting Hill, dove mangiavo le tradizionali, rassicuranti uova con bacon e patatine fritte. L'anno scorso, però, ho scoperto con amarezza che quel locale ha chiuso per sempre. Nella Capitale britannica non sono ancora tornato. Chissà se la rivedrò. In compenso, posseggo quattordici esemplari de «La mia Africa». Giuseppe Culicchia • ' LE LETTURE Karen Blixen La mia Africa Tomas Mann La morte a Venezia Johann Wolfgang Goethe / dolori del giovane Werther Fedor Dostoevskij // giocatore Hermann Melville Bartlebr, lo scrivano Charles Bukowski Pulp q BrèiEastonEllis Meno di zero Ernest Hemingway Fiesta Omero Odissea Leone Tolstoj Guerra e Pace Marguerite Yourcenar Memorie di Adriano LA POESIA «Animiila vaglila, blandula, Hospes comesque corporis, Quae mine cibibis in loca Pallidula, rigida, nudula, Nec, ut so/es dabis iocos» P. AeliiiB lludrinnus Imperatore • ' LE LETTURE Karen Blixen La mia Africa Tomas Mann La morte a Venezia Johann Wolfgang Goethe / dolori del giovane Werther Fedor Dostoevskij // giocatore Hermann Melville Bartlebr, lo scrivano Charles Bukowski Pulp q BrèiEastonEllis Meno di zero Ernest Hemingway Fiesta Omero Odissea Leone Tolstoj Guerra e Pace Marguerite Yourcenar Memorie di Adriano C3 L'ADDIO In Place des Vosges con Karen Blixen LA POESIA «Animiila vaglila, blandula, Hospes comesque corporis, Quae mine cibibis in loca Pallidula, rigida, nudula, Nec, ut so/es dabis iocos» P. AeliiiB lludrinnus Imperatore