Riverdance, ultima ossessione

Riverdance, ultima ossessione Lo strano caso di Michael Flatley e Jean Butler, ballerini travolti da improvviso successo Riverdance, ultima ossessione Dall'Irlanda il megashow della stagione LONDRA. Sino al dicembre del 1993 Moya Doherty e Bill Whelan non avrebbero scommesso più di un penny sulle possibilità del «jig» e del «reel» di richiamare pubblico. A meno che non fossero quei quattro gatti appassionati di folclore. A chi potevano interessare vecchie danze irlandesi? Oltretutto molto difficili da eseguire, con il busto rigido, le mani e le braccia ferme lungo i fianchi o tenute incrociate dietro la schiena mentre i piedi compiono salti brevi, rapidi e complicatissimi. Roba da specialisti. Ma non sapevano la Doherty, produttrice televisiva, e Whelan, musicista, che stava per scoccare l'ora della riscossa celtica, che tutto quello che profumava di antico e isolano (nel senso dell'Irlanda) stava per diventare di moda, il lamento delle cornamuse e i ghirigori impazziti dei violini erano una delle nuove colonne sonore giovanili, la «celtic-connection», come l'hanno battezzata i giornali americani, era arrivata al potere seminando nel pubblico di mezzo mondo una incontenibile «Irish obsession». Così, quando nel dicembre del 1993 Doherty e Whelan misero in piedi un brano di 7 minuti di danza irlandese da mandare in onda come intervallo durante l'European Song Contest, il concorso europeo per la migliore canzone (quello che quest'anno è stato vinto dal travestito israeliano Dana International), tutto si aspettavano tranne un successo clamoroso. Quei sette minuti di celticpop hanno cambiato la storia della danza irlandese. Un'occasione da non lasciarsi sfuggire: neanche un anno dopo, il 30 aprile del 1994, Doherty e Whelan battezzavano «Riverdance», megashow che mandava in delirio i tremila spettatori del Point Theatre di Dublino. Uno spettacolo colossal, montato come il concerto di una popstar, con centinaia di fari, fumi, nebbie e luci colorate. Ma tutto incentrato sulla musica le canzoni e la danza irlandese. Con cantanti, percussionisti, e violinisti che seno star del genere. E con due interpreti che subito sono diventati i beniamini del pubblico, il biondo Michael Flatley e la rossa Jean Butler. Lo show si apre con un drui- Vìdeocassette e ed gadget e centinaia di siti Internet: ora il tour europeo do coperto da un mantello nero, mentre dall'orchestra salgono lente spirali mistiche e commoventi che poco per volta si tramutano in una musica rapida, saltellante, trascinante: dall'ombra salta fuori lei, Jean Butler, bella , slanciata, rossa. La musica è irlandese, i passi di danza sono irlandesi, ma il costume è moderno, la gonna si ferma molto sopra le ginocchia. Poi con un balzo potente entra in scena Flatley e incomincia un duetto travolgente. E' una danza in onore del Sole, il «Reel around the Sun», cui seguono quadri semplici ed evocatori della mitologie e delle leggende irlandesi: il pianto delle donne, l'eroe mitico Cuchullain, il tuono, la danza del fuoco. E poi prepotente irrompe la realtà: con le carestie e la fame del secolo scorso, l'emigrazione in America, l'incontro con le altre culture nel grande melting pot americano: il flamenco, le danze russe, e il tip tap, che i negri d'America crearono mescolando la propria tradizione con il reel irlandese e la danza degli Tradizione e Kitsch vecchi balli celtici un impianto di luci da concerto pop zoccoli olandese. Colossal, kitsch e con un sospetto di trucido, certo, ma paurosamente di successo, «Riverdance» ha portato con sé videocassette, ed, merchandising vario e centinaia di siti su Internet. Da Dublino lo spettacolo è sbarcato a Londra restando due stagioni al Labatts Apollo di Hammersmith (3500 posti). E' seguito il salto in America al Radio City Music Hall di New York e in tutti i grandi mega teatri degli Stati Uniti, con un incasso settimanale di due milioni e mezzo di dollari. Quindi l'Asia, l'Australia. E adesso il ritorno nella vecchia Europa con teatri e palasport del Nordeuropa a disposizione per tutto il prossimo autunno e inverno. In Italia arriverà nel '99. Segno che lo spettacolo non ha successo soltanto dove ci sono discendenti di emigranti. Come lo stesso Flatley, nato in America e che dopo qualche anno di repliche si è stufato e ha creato uno spettacolo nuovo tutto suo. «The Lord of the Dance», se possibile ancora più celtico e più kitsch. Qui tutto è ambientato in una Irlanda mitica dove si svolge una lotta senza quartiere fra le forze del bene (the Lord of the Dance) e del male (the Dark Lord), supervisionata dalla dea Erin e con il trionfo finale del «pianeta Irlanda». E anche qui schiere di ragazzi e ragazze in fila scatenati in interminabili giochi di punta e di tacco, violiniste bionde, canti gaelici, ed esplosione di fuochi d'artificio finale dopo il quarto o il quinto bis. Sergio Trombetta Qui accanto la rossa Jean Butler protagonista con Michael Flatley del balletto A sinistra e in alto due momenti dello spettacolo GLI APPUNTAMENTI Stoccolma 26 30 agosto Monaco di Baviera 2 13 settembre Kiel 16 27 settembre Rotterdam 29 settebre 11 ottobre Brema 14 25 ottobre Lipsia 28 ottobre 7 novembre Oberhausen 10 14 novembre Vienna 17 29 novembre Bruxelles 1 6 dicembre Roma e Milano dicembre '99