«Americani, fuori le prove» di Maurizio Molinari

«Americani, fuori le prove» «Americani, fuori le prove» ra contro il terrorismo. Cosa vi aspettate? «Temo che Clinton sia confuso a causa dello scandalo Monica Lewinsky. Ha attaccato Sudan e Afghanistan 48 ore dopo che aveva pubblicamente ammesso di aver ingannato la sua gente e la sua famiglia. Il risultato è che Clinton ha lanciato una nuova crociata contro l'intero Islam». Clinton afferma però di voler combattere il terrorismo e non i musulmani. «Le azioni di Clinton contano più delle sue parole. L'America negli ultimi 6-8 anni ha sempre e solo attaccato Paesi islamici». Cosa prevede a breve termine? «E' probabile che si espanderà l'offensiva terroristica contro gli Stati Uniti, che si mostrano come i veri nuovi nemici degli Stati arabi e di ogni musulmano. Se Clinton pensa che attaccando Sudan e Afghanistan ha inflitto un duro colpo al terrorismo si sbaglia di grosso. L'effetto è l'opposto. Per gli Usa i rischi sono aumentati di molto». Ma gli Stati Uniti hanno agito La sfida del Sudan: vengano ispettori Usa INFORMAZIONE IL MINISTRO IL presidente sudanese, Omar el Bashir, ha affidato la gestione politica e militare della crisi dei raid ad un grappo di suoi fidati collaboratori. Fra questi «giovani leoni» - come li chiamano a Karthoum - c'è Gazi Salah-Eddin Attabani, ministro dell'Informazione, fedelissimo del leader Hassan al Turabi e regista della contro-offensiva tesa a riunire attorno al Sudan tutti i Paesi musulmani pronti a contrastare «i crociati americani». Ministro Attabani, è vero che il presidente Omar al-Bashir ha proclamato che «ogni sudanese è pronto a dare la vita per la Jihad»? «Sì, la citazione è corretta». Che cosa intendeva dire? «Voleva proclamare il diritto di noi sudanesi, e di tutti i musulmani, all'autodifesa». Che tipo di autodifesa? «La Jihad non è una guerra di offesa contro i cristiani ma di difesa da chi ci aggredisce». Quali misure adotterà il Sudan per autodif endersi? «Diamo precedenza a misure di tipo politico, diplomatico e legale su due fronti. Primo: ottenere dall'Onu la condanna degli Usa per l'aggressione e l'invio in Sudan di un comitato di esperti per verificare che nella fabbrica distrutta non si fabbricavano gas e che non è di proprietà di Osama Bin Laden. Nella commissione potrebbero esserci anche cittadini americani come Jimmy Carter e membri del Congresso. Voghamo ottenere dei risarcimenti per i danni materiali subiti. Secondo: coagulare il sostegno arabo ed islamico contro i nuovi crociati sin dalla riunione della Lega Araba». Escludete reazioni militari? «Stiamo adottando particolari misure di sicurezza intorno alle principali basi militari. Se ci attaccheranno di nuovo saremo pronti a rispondere. Ma, per il momento, non abbiamo in programma atti offensivi». Il presidente Bill Clinton si è detto pronto a una lunga guer¬ in risposta ai sanguinosi attentati contro le loro ambasciate in Kenya e Tanzania. «Gli Stati Uniti non hanno mostrato alcuna prova che accusi noi o gli afghani per quelle esplosioni. Per questo ci aspettavamo da Kenya e Tanzania una condanna dei raid Usa. Ma sono rimasti in silenzio». Washington accusa Osama Bin Laden per quegli attentati. Che rapporti avete con lui? «Osama Bin Laden è stato un normale imprenditore impegnato a contribuire allo sviluppo del no¬ stro paese: costruiva strade, lavorava con aziende edili della sua famiglia ùi Arabia Saudita. Da allora non ci ha più contattato. Bin Laden non è sudanese. E' nato in un altro Paese arabo ed ha combattuto hi Afghanistan contro i sovietici con il sostegno degli Usa». Che opinione avete delle attività del «Fronte mondiale islamico contro ebrei e crociatb) di Osama Bin Laden? «Nessuno finora ha potuto provare che Bin Laden ha commesso un atto di terrorismo». Il mondo musulmano non ha avuto una reazione compatta dopo i raid... «Ciò che conta è che nessun Paese musulmano ha approvato i raid. O li hanno condannati o sono restati ùi silenzio su pressione di Washington. La reazione dei musulmani ovunque è stata di rabbia». Perché il ministro degli Esteri, Mustafa Ismail, è andato in missione a Baghdad? «L'Iraq è un Paese amico. Abbiamo rapporti molto stretti in settori economici e di sviluppo. La visita era prevista e dopo i raid il presidente Omar el Beshir l'ha confer- mata. Contiamo molto sul sostegno musulmano, ma anche su alcuni europei...» A chi si riferisce? «Speriamo che quei Paesi, come l'Italia, più attenti alle ragioni del mondo musulmano si facciano sentire. Questo è il momento. L'Italia, grazie ai suoi valori religiosi, deve aiutare a razionalizzare la risposta europea condizionata da Francia e Germania, che hanno espresso sostegno incondizionato ai raid dei nuovi crociati». Maurizio Molinari