1860, l'anno dei vescovi in carcere

1860, l'anno dei vescovi in carcere 1860, l'anno dei vescovi in carcere In Duomo, fra Pantaleo tenne dal pulpito un infiammato sermone, nel quale paragonava l'Eroe dei Due Mondi a un novello Redentore, mentre i soldati bivaccavano e schiamazzavano nelle navate della cattedrale. Irritato, l'arcivescovo cardinale Riario Sforza, accompagnato dai canonici del Duomo, si recò a far sprangare la porta della cappella. Così Garibaldi non potè godere della vista di San Gennaro. Per tutta risposta, due giorni dopo, il generale espelleva il cardinale e anche tutti i gesuiti, affidando la chiesa di questi, il Gesù Nuovo, ad Alessandro Gavazzi, altro prete in camicia rossa. L'arcivescovo di Napoli non fu la sola vittima cardinalizia del nostro celebrato Risorgimento. Già dieci anni prima, Pio IX, non più in grazia dei patrioti italiani, aveva levato la voce contro Vittorio Emanuele II, che aveva approvato le leggi Siccardi sull'abolizione del tribunale ecclesiastico e delle immunità della Chiesa, dicendosi addolorato soprattutto per il cardinale arcivescovo di Torino che, Giuseppe Garibaldi E Garibaldi cacciò l'arcivescovo di Napoli che gli aveva sbarrato la cappella di San Gennaro a causa delle sue proteste, era stato «tolto da mano militare alla sua sede arcivescovile e tradotto in luogo di reclusione». Ma fu proprio nell'anno 1860 che una buona schiera di cardinali italiani, senza contare i numerosi vescovi, passò dai palazzi vescovili alle carceri di Stato. Era allora la rivista dei gesuiti, La Civiltà cattolica, che si premurava di farne l'elenco nelle proprie cronache. «L'arcivescovo di Pisa», scriveva la rivista, «fu arrestato e tradotto in Torino dai carabinieri, dove trovasi prigioniero da oltre un mese... Nello stesso modo che il Garibaldi nel termine di mezz'ora discacciò e fece portare via da Napoli sua eminenza il cardinale arcivescovo Riario Sforza e da Benevento il cardinale Caraffa, così i rigeneratori delle Marche e dell'Umbria si affrettarono a emulare sì nobile esempio strappando in prima alla propria diocesi l'eminentissimo cardinale De Angelis, arcivescovo di Fermo. Il cardinale Baluffi, vescovo di Imola, fu cacciato in prigione. Poi venne la volta di sua eminenza il cardinale Antonucci, arcivescovo di Ancona, arrestato anch'egli e condotto via sempre guardato a vista. Quindi fu fermato a Foligno l'eminentissimo cardinale Monchini che riconducevasi alla sua diocesi di Jesi...». Questo incarceramento generale di cardinali avveniva, il più delle volte, per un fatto ben preciso, come annotava la rivista dei gesuiti: «Essi non cantano». Accadeva, cioè, che i cardinali si rifiutassero di celebrare in chiesa dei solenni Te Deum per ricordare la data dello statuto o per festeggiare l'annessione al Piemonte, come ordinavano le autorità delle varie città. La Civiltà cattolica commentava: «Si desidererebbe sapere, così per curiosità, dove il governo laico di qualunque Paese di questo mondo abbia pescato l'autorità di obbligare il clero a cantare il Te Deum piuttosto che il Miserere o il Dies Trae in un dato giorno dell'anno». Domenico Del Rio Nel Risorgimento si punivano i prelati che non cantavano il Te Deum in onore dei Savoia LA vicenda del cardinale Giordano, arcivescovo di Napoli, visitato fin troppo spettacolarmente dai carabinieri e dalla Guardia di finanza nel suo palazzo vescovile, può far venire in mente la volta che il Duomo e la Curia napoletana furono occupati con altrettanto spettacolare invasione militaresca dal generale Garibaldi e dalle sue truppe liberatrici. Erano tempi, allora, in cui lo Stato italiano, che andava verso l'unità, metteva in prigione vescovi e cardinali anche solo per scarso entusiasmo patriottico. Dunque, il 7 settembre 1860, Garibaldi entrava vittorioso a Napoli, dopo aver conquistato la Sicilia. Anche il generale, come ogni conquistatore che occupava la città partenopea, volle andare a visitare la cappella del tesoro di San Gennaro. Lo precedette in cattedrale fra Giovanni Pantaleo, frate con la camicia rossa, che, insieme a «un'orda di preti apostati», come narra una cronaca, accompagnava le truppe garibaldine.