Lo strano doping deipolitici di Filippo Ceccarelli
Lo strano doping deipolitici Lo strano doping deipolitici davvero i i ciclisti e i calciatori, oltre ai cavallini dopati del Palio di Siena, hanno bisogno di uscire, come dice Zeman, «dalle farmacie»? In altre e più brutali parole: quanto se ne sa del consumo di psicofarmarci nel Palazzo e nella vita pubblica in generale? Ecco una bella questioncina per vagliare le eventuali potenzialità liberticide del neonato «Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica». Il Garante per la privacy, certo, ha già assicurato che si potrà parlare, per esempio, dell'«affidabilità psicofisica» di un candidato al Quirinale. Affidabilità evidentemente ridotta nel caso questi risulti imbottito di sedativi o sotto il costante dominio di eccitanti. Ma intanto vale la pena di segnalare che di «farma-politica», in Italia, si sa e si parla assai poco. Così poco da giustificare il sospetto che il consumo sia notevole - almeno pari a quello che si registra nella società-.- ;— Com'è ovvio, non si tratta di prodotti illeciti, né si può gensralizzarefe«I' politici,tretutto, non hanno bisogno di aminoacidi, creatina od epo. Il punto è che ogni categoria si sceglie il proprio doping, abbandonandosi con le opportuna cautele ai propri abusi farmaceutici. Quel che impressiona è che le motivazioni emerse in questi giorni nel mondo dello sport assomigliano straordinariamente a quelle che regolano la politica: ossessione del risultato, interessi miliardari, ritmi forsennati, carriere che si accorciano, mito della performance. Più di tanti il politico di oggi deve apparire lucido, sereno, persuasivo. E tuttavia, a giudicare da certi occhi sbarrati ai congressi, da certi sopori sospetti nell'aula di Montecitorio, da eccitazioni incongrue sul video o misteriose assenze dietro cui si vocifera di crisi di panico, i farmaci preferiti dal Palazzo appartengono senz'altro alle classi degli stimolanti e degli anti-depressivi, con qualche robusta appendice nel mon- do oscuro dei sonniferi. Ogni tentativo di formulare una casistica farma-politica deve necessariamente (e comprensibilmente) procedere per accenni - sia pure al massimo livello istituzionale. Sta di fatto che di pillole si parlò nei primi Anni Novanta, ai tempi delle picconate dell'allora presidente della Repubblica Cossiga: tra i vari dossier sfornati dai servizi segreti non ne poteva mancare uno specifico, com'è ovvio diffamatorio. Più recentemente, nei primi mesi di governo dell'Ulivo, Palazzo Chigi ritenne di intervenire con una noticina rettificando alcune peraltro \i vaghe indiscrezioni secondo cui il presidente Prodi, allora politicamente in crisi, appa- riva anche un"po' ìmbàmbò- lato. Ma la ragione, era il senso di quella nota ufficiosa, doveva attribuirsi alla fatica dei viaggi aerei. L'unico ad aver più volte sostenuto, dopo l'incriminazione per mafia, di dover («purtroppo») far uso di tranquillanti e sonniferi è stato l'ex presidente Andreotti: «E non dico quali - ha aggiunto con un certo humour - per non fare pubblicità». Per il resto, sempre rimanendo sul genere delle «confessioni», c'è Mastella che dopo la falsa partenza dell'Udr ha reso noto il momentaneo ricorso a sonniferi (ma anche a camomilla); e Livia Turco, che (a proposito di privacy) ha accettato di mostrare a Sette il contenuto della sua borsetta: da cui è spuntato un tubetto di pillole per combattere la classica insonnia ministeriale. Anche il potere, infatti, costa fatica. E spesso, direbbe Zeman, non c'è nemmeno il girone di ritorno. Filippo Ceccarelli IL PALAZZO
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