Marini: il governo ce la farà di Fabio Martini

Marini: il governo ce la farà Marini: il governo ce la farà Ma il Ppi vuole sostituire Flick, Treu e Berlinguer LA STRATEGIA DEL CENTRO DELL'ULIVO VROMA ENGA onorevole, venga, accosti a destra...». Undici del mattino di un sabato d'agosto, piazza del Gesù è deserta e sull'acciottolato che di solito ospita le autoblù, c'è soltanto un poliziotto che si sbraccia per facilitare il parcheggio di una macchina. Ma chi c'è dentro quella «Bravo»? Sorpresa: ecco spuntare Franco Marini in versione nazional-popolare, è lui alla guida, senza giacca né cravatta, con la camicia fuori i pantaloni e una perfetta abbronzatura «firmata» Isola del Giglio. Il segretario del Ppi è di passaggio a Roma - ci resterà per due ore unico tra i leader, ancora tutti lontanissimi dal Palazzo. «Io non parlo! Non ho nulla da dire...», saluta e varca il portone seicentesco di palazzo Cenci Bolognetti. Ma per un'ora, al primo piano di piazza del Gesù, Marini chiacchiera con i suoi senza le necessarie cautele dell'ufficialità. E su quel governo che non è mai apparso tanto in bilico come in questi giorni, attaccato da destra e da sinistra, da Confindustria e dai sindacati, Marini spiega che la «situazione è difficile, non si riesce ancora a capire quale posizione prenderà Rifondazione: Bertinotti tiene una posizione rigida», mentre «Cossutta sembra aver capito quali sono i rischi che correrebbe un Paese in crisi politica». Marini, ma anche Prodi e D'Alema, continuano a confidare «nella tenuta della stessa base comunista che già un anno fa contribuì ad evitare la elisi». Ma nelle chiacchierate di ieri mattina Marini è apparso abbastanza ottimista ai suoi: «Credo che alla fine anche stavolta prevarrà la ragione». E nella sua costante ricerca di trasformarsi nel baricentro della maggioranza. Marini dalla vacanza ha dato via libera alle aperture al Polo sulla commissione di inchiesta su Tangentopoli. Ma in questi giorni il segretario popolare è compiaciuto perché sa che Prodi non è più ostile a una delle proposte più «scandalose» del Ppi, quella di accompagnare il rilancio del governo con un cambio della squadra. «D'Alema non mi è sembrato ostile...», spiegava ieri mattina Marini. E se alla fine Prodi si convin- cera, sa già quali sono le richieste di piazza del Gesù: nelle chiacchierate top-secret il Ppi ha fatto sapere di non gradire più tre ministri, quello della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer, quello del Lavoro Tiziano Treu e quello di Grazia e Giustizia Giovanni Maria Flick. Un rimpasto limitato d'altra parte andrebbe bene anche a D'Alema, che deve soddisfare le aspettative di una «panchina corta»: due soli personaggi di punta del par¬ tito sono restati fuori dalla squadra governativa, il presidente dei senatori Cesare Salvi e Pietro Folena. Fino a qualche settimana fa Prodi aveva resistito perché intuisce le insidie di un rimpasto, le aspettative (i socialisti gli hanno chiesto un ministero) e soprattutto il rischio di dimissioni, «anche perché io - ha confidato Prodi, scherzando ma fino ad certo punto - al record di durata del governo, ci tengo...». In questo torrido agosto, il presidente del Consiglio ha cercato di ridurre all'essenziale le sue esternazioni. E così, dopo l'intervista rilasciata nella sua casa di Bebbio al direttore della Gazzetta di Reggio Umberto Bonafini, ieri Prodi a Gallipoli ha parlato a lungo con Giuseppe De Tomaso della Gazzetta del Mezzogiorno. Sul tema caldo del rimpasto, Prodi ha preferito glissare («L'intervista è finita...»), confermando che l'impenetrabile ostilità dei mesi scorsi si è «ammorbidita» in un no comment. Ma la risposta più interessante arriva davanti all'inedita ipotesi di un appoggio del premier spagnolo Aznar (in chiave anti-Gonzàlez) a una candidatura Prodi per la presidenza della Commissione europea: l'Ulivo mondiale può aiutare questa «scalata»? E Prodi: «Con la riunione di New York non voghamo scomporre né l'Internazionale socialista né quella popolare», e quanto alla presidenza Ue, Prodi taglia corto: «La priorità assoluta» è la guida del governo italiano, possibilmente «fino alla fine della legislatura». E intanto, con Prodi che spazia su scenari planetari e non ne vuol sapere delle lusmghe del Ppi, lo staff di Marini ha escogitato una nuova suggestione: nel documento inviato ai quadri di partito in vista dell'assembea di ottobre si prende in esame l'ipotesi di togliere la dizione partito a quella attuale di «Ppi». Certo, come spiega il vice-segretario Franceschini, non si tratta di una proposta del segretario, ma come si spiega nel documento oramai «solo Ppi e il Prc si chiamano ancora partiti». Fabio Martini Il segretario popolare insiste per il rimpasto e sembra aver convinto anche D'Alema «Rifondazione? Credo che prevarrà ancora la ragione» Il presidente del Consiglio Romano Prodi A sinistra: Franco Marini e Gerardo Bianco, segretario e presidente Ppi

Luoghi citati: Gallipoli, Isola Del Giglio, New York, Roma