Bin Leiden dichiara la guerra totale di Ibrahim Refat

Bin Leiden dichiara la guerra totale La Jihad e la Jamaa Islamiya egiziane si uniscono alle promesse di rappresaglie anti-Usa Bin Leiden dichiara la guerra totale Nuovi, minacciosi proclami IL CAIRO nostro servizio Gli appelli del capo dell'internazionale del terrore islamico, il miliardario saudita Osama bin Laden, a impegnarsi nella crociata contro l'America non sono caduti nel vuoto. E non cessa la protesta nel mondo musulmano ancora scosso dai raid in Afghanistan e in Sudan ordinati a Clinton. Ora gli alleati dello sceicco lanciano minacce sinistre agli Stati Uniti, mentre il Sudan, anch'esso bersaglio delle bombe americane, cerca di uscire dal suo isolamento nel mondo arabo costringendo i Paesi moderati a prendere le distanze dagli Usa. Non si esclude una dura schermaglia tra i due schieramenti, domani al Cairo, durante la riunione straordinaria della Lega Araba. «La guerra è appena cominciata. Gli americani si aspettino una risposta». Questo è il monito di Ayman Al-Zawahri, il capo della Jihad islamica egiziana e alleato del miliardario-terrorista. Al-Zawahri, sul cui capo pende una condanna a morte in Egitto, ha lanciato ieri il guanto di sfida a Washington attraverso il giornale pachistano «The News». «Dite agli americani che bombardamenti, minacce e aggressioni non ci lamio paura. Noi abbiamo sopportato e siamo sopravvissuti alle bombe sovietiche per dieci anni in Afghanistan, e siamo pronti ad altri sacrifici». Il leader della Jihad ha voluto dimostrare che le ventilate minacce del segretario alla Difesa, William Cohen, di sferrare nuovi attacchi contro i santuari del terrore in Afghanistan, non sembrano intimorire più di tanto i mujahiddin, i combattenti islamici. Sulla stessa scia il portavoce di bin Laden, Abdul Hak, parlando delle perdi- te umane subite dai mujahiddin, ha detto testualmente a un quotidiano arabo: «Queste perdite sono una cosa normale tra i nostri fratelli, il cui principale obiettivo è diventare martiri e incontrare il Creatore il più presto possibile». E non poteva mancare in questo carosello di intimidazioni l'apporto della Jamaa Islamiya egiziana, anch'essa legata a bin Laden attraverso il Fronte islamico internazionale da lui guidato. Con un comunicato diffuso al Cairo minaccia di rispondere agli attacchi Usa. I Taliban, padroni ormai di buona parte dell'Afghanistan, rincarano la dose contro gli Stati Uniti con un discorso a «Radio AiSharia» di Kabul. Il ministro degli Esteri afghano ha spiegato che, con quella pioggia di missili, non si voleva colpire bin Laden, principale indiziato per gli attentati alle ambasciate americane a Nairobi e a Dar es Salaam. «Era un pretesto degli americani per mo¬ strare il loro odio verso l'Islam e i musulmani». E' proprio quello che pensa una parte dell'opinione pubblica nel mondo arabo, dal momento che l'Amministrazione Clinton non ha ancora esibito prove inconfutabili sul coinvolgimento del Sudan negli attentati dell'East Africa. Alcuni analisti arabi temono che bm Laden diventi una sorta di eroe agli occhi di molti musulmani, in uno scontro tra il «David» Osama e il «Golia» Clinton. Per questo i moderati hanno già preso le distanze dagli Usa. L'Egitto è tornato a ribadire la necessità di una soluzione diversa da un intervento militare unilaterale per risolvere il problema del terrorismo. E suggerisce la convocazione di una conferenza intemazionale, posizione peraltro condivisa da molti governi della regione. Tuttavia il fronte moderato sarà costretto, durante l'imminente riunione della Lega Araba, a sottoscrivere una dichiarazione di solidarietà al regime integralista di Khartoum, malgrado i vecchi dissidi sul ruolo del Sudan nel fomentare il terrorismo islamico. Una delle cause della disputa fu l'attentato a Moubarak nel 1995 ad Addis Abeba, nel quale, a detta del Cairo, sarebbero implicati i Servizi sudanesi che garantirono la fuga dei terroristi egiziani della Jamaa, ancora nascosti in Sudan e che Khartoum rifiuta di consegnare. Per la mancata collaborazione, il Sudan fu sottoposto dall'Onu, nel 1996, a sanzioni economiche. E attorno a quella data il miliardario bin Laden fu invitato dai suoi ospiti sudanesi a sloggiare, al fine di dissipare i sospetti di connivenza con il terrorismo. Non gli giovarono i grossi investimenti effettuati in Sudan, tra cui la fabbrica di medicinali colpita giovedì. Lo sceicco dovette quindi ritornare in Afghanistan dove, nel 1980, aveva allestito basi militari a Khost, a Jalalabad e a Kandahar per i combattenti islamici impegnati nella guerra santa contro le truppe di occupazione sovietiche. Per quelle basi transitarono trentamila miliziani: egiziani, sauditi, libanesi, yemeniti, algerini, libici, pachistani e tanti altri. Ibrahim Refat «Siamo sopravvissuti per dieci anni alle bombe sovietiche in Afghanistan, i bombardamenti non ci fanno paura Aspettatevi una risposta» li ^ J ÈéÌ il f? I i mi La caricatura di Osama Bin Laden apparsa sul periodico egiziano «Al-Ahram Weekly»

Persone citate: Abdul Hak, Clinton, Golia, Laden, Osama Bin Laden, William Cohen