«Ho paura, voglio sentire la sua voce»
«Ho paura, voglio sentire la sua voce» «Ho paura, voglio sentire la sua voce» L'inutile attesa della moglie davanti al telefono SALERNO. Forse un oscuro presentimento le aveva imposto prudenza e a chi venerdì, quando da Kabul era arrivata la notizia del ferimento, le diceva che non c'era alcun pericolo, continuava a ripetere: «Voglio essere sicura che mio marito sta bene, voglio sentire la sua voce». La notizia terribile, quella che non avrebbe mai voluto conoscere, è arrivata ieri mattina. Una delegazione di ufficiali dell'esercito, poco dopo le 11, ha comunicato alla moglie, Maria Pepe, e alle due figlie, Emanuela, 18 anni, ed Elisa, di 10, la morte del ten. col. Carmine Calò. A Eboli, il paese del Salernitano dove la famiglia risiede da tempo, una piccola folla s'è radunata in via Giovanni XXIII, nel parco residenziale Olimpia, nel centro del paese. Amici, parenti, colleghi sono venuti a testimoniare solidarietà, ma anche a ricordare la vita di un uomo che aveva saputo farsi amare e rispettare. Per la moglie, un durissimo colpo: ai tanti che venerdì avevano chiamato per avere informa¬ zioni sulle condizioni dell'ufficiale, aveva ripetuto che bisognava lasciare la linea libera perché lui avrebbe potuto telefonare. Poi, ieri mattina, il comandante del 2° Gruppo Forze Operative di Difesa, gen. Ferruccio Borierò, accompagnato dal comandante del 20° Gruppo Squadrone Aves Andromeda, di Pontecagnano, Giovanni Sansone, e dal cap. Nunzio Pollice, hanno bussato alla porta dell'appartamento, al quinto piano di una palazzina. Sino alle 3 del pomeriggio i colleghi dell'ufficiale sono rimasti accanto alla vedova e alle due ragazze. Soltanto Emanuela è scesa in cortile per pochi minuti: aveva le lacrime agli occhi e non ha voluto parlare con i giornalisti. Con la madre e la sorella ha visto ogni speranza svanire nel giro di poche ore, dopo aver ricevuto assicurazioni che la situazione era sotto controllo, che non c'erano gravi rischi. La morte dell'ufficiale ha portato dolore anche a Gesualdo, il piccolo paese in provincia di Avellino dove Carmine Calò era nato 42 anni fa. Dopo la morte dei genitori, avvenuta quando era ancora un ragazzo, lo aveva accolto nella sua famiglia uno zio materno, Antonio Calvan, che ora ha 84 anni e che ha appreso della morte del nipote dal telegiornale. Lì, a Gesualdo, l'ufficiale tornava, sia pure per brevi periodi, ogni estate: una consuetudine interrotta negli ultimi anni, quando le missioni all'estero lo avevano tenuto lontano. «Era una persona estroversa, sportiva, gioviale, che amava la famiglia e il lavoro. La sua è stata una morte assurda». Così lo ricorda il comandante del Gruppo Aves Andromeda, Giovanni Sansone: «Venerdì le sue condizioni non sembravano preoccupanti, tanto che, a quanto sappiamo, lui stesso aveva cercato di contattare la moglie al telefono». In forza dall'93 al Gruppo di Pontecagnano, Carmine Calò aveva partecipato a missioni di pace in Libano e in Bosnia. «Per dieci anni - spiega il magg. Zullo - ho lavorato con lui quand'era ufficiale tecnico addetto alla manutenzione degli elicotteri. Al di là del rapporto professionale e gerarchico, era una persona semplice e aperta, con cui si poteva discutere. Ci siamo sentiti a luglio, due giorni prima della sua partenza per Kabul, e mi aveva detto che aveva intenzione, al rientro dall'Afghanistan, di fermarsi un pochino. La sua immatura scomparsa, e questa è l'opinione di tutti quelli che lo hanno conosciuto, lascia un vuoto enorme». Mariella Cirillo Al centro, Manuela, la figlia maggiore di Calò
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