«Noi, i soldati del combat-folk»

«Noi, i soldati del combat-folk» Stasera inaugurano a Castagnole Lanze il Festival Contro, dedicato alla musica d'impegno «Noi, i soldati del combat-folk» Incontro con i Modena City Ramblers: «Ma il tempo della rabbia è finito» CASTAGNOLE LANZE. «Festival della Canzone d'impegno», recitano le locandine della maratona in programma da oggi a Castagnole delle Lanze, splendido paese in provincia di Asti, arroccato tra Langa e Monferrato. La definizione sembra appartenere al passato, ma a pensarci bene è l'unica possibile per un cartellone che non guarda tanto alle punte della «protesta» in musica (non ci sono, ad esempio, i gruppi vicini alle istanze radicali di squat e centri sociali), quanto piuttosto al panorama delle produzioni artistiche di «contenuto». Una galassia eterogenea, difficile da mettere a fuoco. Forse anche non facile da abitare, poiché il confronto sul ruolo e sulla crisi della satira ili sinistra nell'era dell'Ulivo può essere esteso senza troppe forzature alla stirpe dei musicisti «impegnati». Certo, le parole della canzone dei Nomadi, «Contro», da cui nasce il nome stesso del festival, non hanno tempo né luogo: «Contro tutte le intolleranze / contro chi soffoca le speranze / contro antichi fondamentalismi e nuovi imperialismi / contro la poca memoria della storia». Il gruppo emiliano qui è un mito. Suonò per la prima volta nel 1967 e da allora è tornato ben 22 volte. Con il sanguigno Lorenzo Abbate, classe 1948, fa parte del fan club tutto il paese, che peraltro ha provveduto ad insignire i Nomadi della cittadinanza onoraria. Da quest'anno, il concerto diventa festival, con la consegna di cinque targhe. Ai C.S.I. (in concerto il 29) come gruppo dell'anno, agli emiliani Bassapadana (il 27 con i Dividing Line) quale rivelazione, al tosto e poetico cantautore spagnolo Paco Ibanez e a Gianmaria Testa (entrambi dal vivo il 30 con Marco Berruti), rispettivamente in rappresentanza della scena internazionale e di quella piemontese. Nonché ai Nomadi (il 26). Ai Modena City Ramblers spetta, sabato 22, l'inaugurazione, mentre la capiente piazza San Bartolomeo attende anche Charlie & The Cats (abbinati, domenica 23, aha proiezione del film «Siamo fuori» di Franco Lisciandri), Fiati Pesanti e Lou Seriol (24), Giorgio Conte e Alice Castie (il 25), EstAsia, Magma e Voltapagina (28). [p. fj SONO otto. Ragazzi sulla trentina o poco meno. Alcuni di Modena, come si può facilmente dedurre dal nome del gruppo, altri sono di Reggio Emilia e di Arezzo. Cisco Bellotti, il cantante, abita a Bologna. Risponde lui a nome di tutti. I Modena City Ramblers non li trovi mai a casa, suonano anche cento sere all'anno: considerando gli spostamenti tra una data e l'altra, sono in giro per buona metà dei 365 giorni a loro disposizione. Ora la band di «combat folk» è chiamata ad inaugurare, questa sera, il cartellone di «Contro» a Castagnole delle Lanze. Il loro repertorio, a questo punto, è forte di tre dischi realizzati in cinque anni, dalle ballate irlandesi venate di ribellismo nostrano che riempivano «Riportando tutto a casa», allo sgargiante Sudamerica di «Terra e libertà», passando per «Grande famiglia», che ne sancì la popolarità. Senza dimenticare le riletture di classici della canzone di protesta italiana, come «Contessa» e «La locomotiva». Li battezzarono «Pogues italiani», per l'esplicita passione nei confronti del rock-folk declinato all'irlan- dese. Poi divennero per qualcuno i «nuovi Nomadi», capaci di raccogliere sotto il palco un pubblico devoto, politicamente schierato, uria sinistra variopinta, venata di cristianesimo e dall'età media in caduta vertiginosa. Da qualche anno, sono Modena City Ramblers e basta. Siete invitati ad una rassegna dedicata alla «canzone d'impegno». Che pensate di questa definizione? «Detta così potrebbe far venire in mente una sfumatura un po' qualunquista, ma sappiamo che si tratta solo di un modo come un altro per mettere a fuoco le intenzioni di un evento». Ma che rapporto c'è tra «impegno» e rabbia nel vostro percorso artistico? «Noi siamo nati sulle ali della rabbia. Quando abbiamo fondato i Modena City Ramblers erano gli anni in cui esplodeva Tangentopoli, un momento caotico, con i politici che scappavano all'estero e il fantasma di ima nuova destra, guidata da un "Cavaliere Nero" all'orizzonte, pronta a vincere le elezioni. La rabbia ci imponeva di dire ciò che pensavamo con tutta l'immediatezza di una situazione d'emergenza». E ora? Che ne è della rabbia nell'era dell'Ulivo, ha ancora spazio? ((Adesso facciamo fatica a identificarci con quella rabbia. Sono cambiati i tempi, non è più così semplice per un gruppo come il nostro individuare ciò che identifichiamo come male e distinguerlo da quel che ci sembra bene. Non è una questione di omologazione con l'Ulivo, capita spesso e volentieri che tra noi non siamo d'accordo su questo o quell'atteggiamento del governo. Ma, nel complesso, concordiamo tutti sul fatto che sia il meno peggio degli ultimi cinquant'anni, e ci sentiamo fuori dalla situazione d'emergenza di allora. Non è un caso che ci siamo rivolti ad altri luoghi e che abbiamo usato altri mezzi. Nell'immaginario del Sudamerica e degli scrittori latinoamericani abbiamo trovato altri stimoli, altre rabbie, altri linguaggi. Ci siamo ispirati a situazioni in cui il confine tra il bene e il male è molto più evidente, i conflitti sono espliciti e più laceranti. Ma non per questo crediamo che il Nord del mondo sia esente da colpe e, meno ancora, possa sentirsi al sicuro dagli effetti più devastanti della globalizzazione. Chi pensa che i problemi seri siano solo in Africa, in Asia o in America Latina farebbe meglio a guardare cosa succede dietro l'angolo di casa sua. Questo è ciò che cerchiamo di spiegare anche attraverso i nostri viaggi. Ci abituano a pensare che il mondo sia tutto uguale, con gli stessi hamburger e le stesse bibite in ogni angolo del Pianeta, ma non è così, lo squilibrio è ovunque. Quando fondaste il gruppo, la rabbia si trasformò subito in musica di radice irlandese. Perché? «Rispondeva al meglio alla sensazione di emergenza di allora. Un gruppo rock, per esprimersi, ha comunque bisogno di un palco, di amplificatori, di una batteria, di mimmo 3 o 4000 watt di corrente. La nostra musica si poteva realizzare con una chitarra acustica, un violino, una fisarmonica, seduti al tavo¬ lo di una birreria, scrivendo sul momento quel che avevamo da dire in forma di canzone. Fu una scelta artistica che annientò molte barriere, potevamo suonare, comunicare, in qualsiasi momento. L'Irlanda è così, è ùnmediatezza, noi le abbiamo rubato questo spirito, è stata una lezione decisiva, la scintilla che ci ha fatti nascere. E che ci ha permesso di andare avanti, di farci conoscere. Se c'era l'impianto, bene. Se non c'era, bene lo stesso, noi potevamo suonare in ogni caso. In un paese nessuno organizzava un concerto? Arrivavamo noi, in birreria, all'osteria. E quello diventava in un attimo il festival rock del paese, la sensazione che vivevamo e offrivamo a chi ci veniva a sentire era quella di un gruppo di persone impossibili da zittire, che fossimo all'angolo di una strada, al bai- o sulla piazza del mercato». Cessata la rabbia, anche la musica si è evoluta in un rock più articolato e di altre pretese artistiche. Si è trattato di una sorta di coincidenza o c'è stato un rapporto di causa-effetto? «Si tratta di un'evoluzione indissolubile dal contesto in cui è maturata. Dalla rabbia siamo passati all'esigenza di definire la nostra musica. E' stato il quesito di fondo di "Terra e Libertà", non c'era più motivo di continuare ad essere i Pogues italiani. Unire lo spirito e la musica d'Irlanda alla nostra tradizione e al contesto sociale e politico italiano era una formula che aveva dimostrato la sua validità, l'esperimento era riuscito. Il nostro immaginario si è spostato dall'Irlanda e dalla Pianura Padana al deserto del Sahara, dove abbiamo conosciuto la lotta del Polisario, all'America Latina, grazie anche all'amicizia con Paco Ignacio Taibo II, che ci ha fatto innamorare definitivamente della letteratura sudamericana. Abbiamo preso gusto a mescolare musiche e culture, ci affascinava l'esempio dei Mano Negra, la loro cavalcata fisica e sonora attraverso i Continenti. Così è nato questo stile che chiamiamo "pachanka celtica". Nel frattempo, ciascuno ha approfondito la conoscenza del proprio strumento, e tutti insieme abbiamo messo a fuoco la miscela musicale dei Modena, mentre nel nostro mondo si ritagliavano uno spazio importante i personaggi di Gabriel Garcia Màrquez, le storie di Macondo, il Che Guevara giovane che attraversa il Continente in moto con un suo amico facendo sognare le ragazze, ben prima di diventare un comandante rivoluzionario». Ip. f.) «Non c'è più motivo di essere i Pogues italiani: oggi guardiamo al Sahara più che all'Irlanda» I Modena City Ramblers e a destra i Csi che saranno in concerto il 26 agosto A sinistra Giorgio Conte a destra Gianmaria Testa: sono tra i partecipanti del Festival «Contro» che si svolge nell'Astigiano