Ritorno sul Don, a cavallo

Ritorno sul Don, a cavallo Insieme ai cosacchi, sulle tracce dell'ultima carica del «Savoia» Ritorno sul Don, a cavallo Trekking storico nella steppa della ritirata QUARANTA GIORNI IN SELLA I «cavalieri del Don» sono tornati I a casa dopo mezza estate in sel■ la nelle steppe di Ucraina e Russia, per raggiungere Isbuscenskij, sul Don, e ricordare l'ultima carica del reggimento di Savoia Cavalleria, il 24 agosto 1942: 8 mila chilometri tra andata e ritorno, 40 giorni bollenti con nella bisaccia i diari di Luciano Mela e Pietro Crespi, (ed. Vita e Pensiero, 1995) ufficiali di Savoia al tempo della disastrosa campagna di Russia. Protagonisti Mauro Ferraris di Alpitrek, scuola di equitazione alpina a Giaveno, Damele Daghero, giovane montanaro della Val Sangone e Pierino Salvi, tecnico (e contadino) di Fino Mornasco, assistiti su due furgoni da Marzia Jourdan di Roure e Pierangelo Caprioli di Castenedo. «Ma - dice Ferraris - i veri protagonisti sono stati i nostri cavalli: "Cartuccera", italiana, "Bossolo", tedesco e "Angelina", una quarter horse. Sono tornati in forma perfetta». L'avventura è cominciata dieci anni fa quando Ferraris, con altri riders dell'Alpitrek, ha rifatto il percorso - da Villa Santina in Camia a Lienz in Carinzia - di quei cosacchi che, scesi in Italia al seguito dei tedeschi, furono riconsegnati ai sovietici alla fine della guerra e deportati in massa in Siberia. Al di là della tragedia e delle considerazioni morali e politiche è rimasto questo interesse profondo per i cosacchi, da sempre liberi cavalieri delle steppe. Poi è venuta la leggendaria carica di cavalleria del Savoia e la voglia di andare a vedere questa quota 213,5, rialzo impercettibile del terreno a 10 chilometri da Isbuscenskij. Il viaggio ha anche ripercorso il trasferimento del Savoia, dall'Italia al Don, luglio e agosto, con temperature di 40 gradi, oggi come allora. «Siamo partiti con i cavalli sui van - racconta Ferraris - e passato ore e ore alle frontiere di Austria, Ungheria, Ucraina, Russia, per intoppi burocratici. Ma i nostri sono stati i primi cavalli italiani entrati in Russia dalla fine della guerra. Siamo saliti in sella a Kirovograd e via verso Est per Dnepropetrovsk, Voroscilogrd, Millerovo e oltre verso il Don. Abbiamo sempre dormito alla bella stella, nella steppa o vicino a qualche villaggio, per l'acqua. Il caldo era terribile, i cavalli hanno bevuto anche 100 litri al giorno». La Russia profonda, quella di Babel e Sholokov, è quasi la stessa. La campagna è dolce, la gente gentile. «Una sera eravamo accampati nella prateria, vicino a Bovoskaia a NordEst di Millerovo, quando si è fermato un cosacco su una Uaz sgangherata; abbiamo spiegato a gesti chi eravamo. E' tornato dopo un po' con pomodori ripieni, peperoni, miele e vodka. Abbiamo mangiato insieme allegramente, poi è sparito nella notte, fiero. Non ha voluto mente». Sono stati mille chilometri lunghissimi: cavalcare dall'alba fino alle dieci, e dalle 16 fino al tramon¬ to, per evitare il caldo asfissiante. I pali della luce in file senza fine, le piste polverose uguali a quelle del '42 salvo qualche tratto asfaltato, i villaggi nascosti nelle balke, unici posti dove si vedevano alberi, campi immensi di girasoli. I piccoli mercati con poco o niente: cetrioli, pomodori, pere, miele, pesce secco. «Vicino ai villaggi dove eravamo accampati, era una processione di gente che ci portava latte, uova, yogurt, marmellata. Dovevamo insistere per dare in cambio i nostri viveri. Non abbiamo visto un turista né un forestiero». Isbuscenskij è un villaggio minuscolo di una dozzina di isbe e un piccolo cimitero militare russo. Quasi nessuno ha più memoria dei fatti d'arme italiani. Il gruppo è arrivato a quota 213,5 che era quasi sera, un luogo qualunque nella steppa, deserto, silenzioso. «Abbiamo piantato la drappella del Savoia che ci aveva consegnato il col. Serafini, attuale comandante del reggimento di stanza a Grosseto, abbiamo fatto le foto, e l'indomani siamo andati a cercare l'atamano dei cosacchi, Misha Taraffas». Avvertito da due poliziotti l'uo- mo, che lavora in un kolchoz, è arrivato esterrefatto: non sapeva niente della storia. «Gli abbiamo consegnato la cassetta video sui cosacchi in Italia, girata nell'88, gli abbiamo spiegato perché eravamo lì e siamo diventati amici, anche senza sapere il russo». Poi tutti sulle rive del Don, a fare il bagno con i cavalli, e festa grande fino a sera. Misha ha pescato pesci nel Don, li ha cucinati su un fuoco con alcuni suoi amici cosacchi, «così diversi dai russi, spiriti liberi mai domati da nessuno». Perché questo viaggio? «Non un'impresa sportiva - dice Ferraris che in vent'anni di sella ha cavalcato dappertutto dal Messico alla Spagna, alle Alpi più fuori mano né turismo. Un gesto poetico. La guerra? Noi abbiamo scelto una frase di Eraclito: "Il conflitto è comune alle parti, solo la ragione è contesa, chi soffre e crepa in guerra è coinvolto solo nel conflitto e la sua vita e la sua morte avvengono al di fuori della contesa della ragione". Alpitrek ha voluto ricordare con questa marcia soldati, uomini, cavalieri e quadrupedi coinvolti nella follia loro malgrado, mentre quelli che si occupano della contesa rimangono sempre al riparo dal conflitto». Renato Scagliola Una cavalcata lunga mille chilometri tra campi di girasoli villaggi di isbe e cimiteri di guerra Un momento del trekking italiano sui luoghi della ritirata di Russia