«America, avrai la nostra risposta» di Franco Pantarelli

«America, avrai la nostra risposta» Dubbi sul successo degli attacchi dei Cruise. La Albright: hanno un valore soprattutto simbolico «America, avrai la nostra risposta» Minacce da Kabul, Washington: possibili nuovi raid NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Gli americani che vivono all'estero sono esortati dall'Fbi e dal Dipartimento di Stato a «stare attenti», i monumenti di Washington da ieri hanno un numero doppio di poliziotti di guardia e i viaggiatori della metropolitana della capitale vengono invitati a fare attenzione a possibili «pacchi sospetti». Se il blitz dell'altra notte in Afghanistan e Sudan è servito a prevenire un nuovo attentato in preparazione in un luogo non specificato, è anche servito ad aumentare la possibilità di una «rappresaglia» dei terroristi medesimi. E le autorità si preoccupano. Oltre alle cose appena dette, si sa che è in discussione la possibilità di chiudere temporaneamente varie ambasciate all'estero, in particolare quelle che - si disse subito dopo gli attentati di Nairobi e Dar es Salaam - dispongono di misure di sicurezza al di sotto degli standard che lo stesso Dipartimento di Stato si era dato negli Anni 80 e che quindi sono bersagli vulnerabili. Gli stessi sondaggi d'opinione, in gran parte favorevoli all'attacco dell'altro ieri (il 66 per cento dice che Bill Clinton ha fatto bene), sono divisi fra le due possibili conseguenze: il 47 per cento degli interpellati dice che adesso qualche nuovo attentato è più probabile, il 38 per cento dice che lo è meno. Ma quelle sono opinioni date così, da gente che non conosce l'esatta dimensione del problema, come invece si suppone conoscano quelli che il blitz lo hanno deciso. Quanto micidiale è stato il colpo inferto al gruppo di Osama bin Laden, improvvisamente assurto a pericolo numero uno? «Da moderato a pesante», è la definizione uscita ieri dalla Casa Bianca, attraverso il consigliere per la sicurezza nazionale Sam Berger, e dal Dipartimento di Stato attraverso il segretario aggiunto Thomas Pickering. Mentre Madeleine Albright, in mattinata, aveva invitato a guardare più al valore «simbolico» che a quello pratico. Un successo, aveva spiegato, «è già quello di avere messo in chiaro che gli Stati Uniti non si fanno inti- midire». E il ministro della difesa William Cohen non ha escluso la possibilità di ulteriori iniziative: «Stiamo preparando piani di sicurezza e potrebbero esservi più attacchi in futuro», ha detto. Non sembra molto, per un attacco lanciato con tanta urgenza e drammaticità, ma Berger ha invitato a pazientare ancora un po'. Per sapere con più esattezza quanto duramente i campi dei terroristi in Afghanistan siano stati colpiti, infatti, bisogna aspettare che arrivi il bel tempo perché ieri le nuvole hanno impedito ai satelliti di scattare foto abbastanza buone da consentire una valutazione precisa. In attesa che le nuvole si diradino, quindi, ci sono le notizie fornite dagli afghani. I morti sono stati 21, hanno detto, e fra essi non c'è Osama bin Laden. Poco male, rispondono a Washington, perché l'obiettivo non era lui, che - ha ammesso Berger «non sappiamo neanche dove sia», ma le «infrastrutture» della sua organizzazione. Quelle, ha sentito di poter dire Berger anche senza l'ausilio dei satelliti, «credo che le ab- biamo danneggiate parecchio». Ma gli afghani, ieri, avevano anche altro da dire. Mohammad Omar, il loro «amirul momineen» (guida dei fedeli), ha detto che la decisione presa da Bill Clinton è stato chiaramente un tentativo di «distogliere l'attenzione del popolo americano dal suo vergognoso comportamento che dimostra quanto egli sia un bugiardo e un uomo senza onore». «Che cos'è il terrorismo?», ha detto ancora Omar. «Che differenza c'è fra le esplosioni in Kenya e in Tanzania e l'attacco contro l'Afghanistan? E' l'America il maggio- re terrorista del mondo. Voglia Iddio, daremo la nostra risposta il più presto possibile». Berger ha ancora una volta giustificato l'attacco con il fatto che «raramente le fonti di informazione sono state così uniformi e persuasive come in questo caso». Sulla responsabilità di Osama bin Laden negli attentati di Nairobi e Dar es Salaam non ci sono dubbi e lo stesso Clinton, l'altro ieri, aveva lodato la «intelligence comunity» americana per l'ottimo lavoro svolto. Succede però che Louis Freeh, il capo dell'Fbi volato in Kenya per sovrinten¬ dere alle indagini, dice che di quelle informazioni «uniformi e persuasive» non fanno parte quelle fornite dal suo ufficio. Essendo venuto a mancare il «reo confesso» - quel Mohamed Sadiq Howaidi che finché era nelle mani dei poliziotti pachistani ammetteva tutto ma adesso che a interrogarlo sono americani e kenyoti nega - l'Fbi non ha ancora, ha detto Freeh, prove sufficienti «a ottenere una condanna». Questo ha fatto naturalmente riaffiorare i dubbi sulle «ragioni personali» che potrebbero avere spinto Clinton a lanciare l'attacco. Ma ancora si tratta di qualcosa che «tutti pensano ma pochi dicono». L'appoggio formale all'iniziativa del Presidente continua, anche da parte degli avversari repubblicani, anche se aumentano le espressioni del tipo «se le cose stanno davvero come è stato detto». Oggi però cominciano i «briefings» alla Camera e al Senato per spiegare in dettaglio le cose, e il clima potrebbe cambiare. Franco Pantarelli Il capo dell'Fbi smentisce il consigliere perla sicurezza «Non abbiamo dato noi quelle informazioni» I sondaggi premiano il presidente Per il 66 percento dei cittadini «ha fatto bene»