Il venerdì nero delle Borse mondiali

Il venerdì nero delle Borse mondiali La Russia, ormai senza riserve, abbandona il rublo. Crollano i prezzi delle materie prime Il venerdì nero delle Borse mondiali Effetto domino da Mosca al Brasile. Terremoto in Europa MILANO. Da Mosca a San Paolo del Brasile, dopo aver seminato il panico a Francoforte e a Wall Street, dove tutti hanno cercato di liberarsi dei titoli che scottano provocando una seduta da brivido, in cui, dopo crolli di 200 punti e oltre il Dow Jones si è stabilizzato a quota 8533,65 limitando le perdite allo 0,9%. L'effetto domino sulle Borse, stavolta, c'è stato. Più del «sexgate» o dei raid su Khartum e l'Afghanistan pesa il rischio che il fallimento della finanza russa, dato più per probabile che per possibile, trascini nella rovina gli altri Paesi emergenti, che da una parte vedono crollare le quotazioni delle materie prime, fonte principale del loro export, dall'altro salire il costo dei loro debiti. Nel mirino, soprattutto, c'è il Sud America, un'area vitale per la finanza Usa così come Mosca lo è per la Germania. Tutto è cominciato a Mosca, dove la banca centrale, dopo un assedio durato una settimana, ha alzato bandiera bianca: le riserve valutarie sono ridotte al lumicino, soli 15 miliardi di dollari, un'inezia di fronte al rischio di una nuova ondata di sfiducia. La piccola Borsa del Cremlino (un settimo, in valore, rispetto a Piazza Affari) ha reagito con una perdita pesante, il 5,6%, ma quasi «normale» se si pensa ai rovesci delle passate sedute. Ma non è affatto normale una perdita analoga, il 5,56 per cento, per la granitica Borsa di Francoforte, considerata una delle fortezze meno vulnerabili della fi¬ nanza globale. Eppure, di fronte alla sindrome dell'orso moscovita, stavolta non hanno retto le difese di Commerzbank, Dresdner e Deutsche Bank, che pure hanno ribadito ieri di aver già effettuato forti accantonamenti per fronteggiare la bancarotta russa. Ma le spiegazioni razionali, di fronte alla piena del «venerdì nero», l'ennesimo di questa estate di fuoco, non sono certo sufficienti a evitare il tracollo. Non solo a Francoforte, ma anche a Parigi (3,52 per cento), Londra (-3,33), Zurigo (-3,75) e Milano (-3,66 per cento), dove una pioggia di vendite ha investito i titoli delle società più esposte verso Mosca e il Sud America. La nuova frontiera della crisi, infatti, è presto diventato il continente latino-americano. Il detonatore, stavolta, sembra essere il Venezuela così come, un anno fa, il terremoto del Far East prese il via in Thailandia. Ma nel mirino ci sono i colossi del continente, Brasile e Argentina in testa. Anche a San Paolo, mentre le perdite superavano in media il 10%, si è alzata bandiera bianca, con la sospensione delle contrattazioni. A Caracas, Città del Mexico, Buenos Aires il bollettino di guerra parla di perdite tra il 6 e il 9%. Si apre un nuovo fronte, insomma, con gravi rischi per le società e i Paesi più esposti. Ne sa qualcosa la finanza spagnola, la più legata agli investimenti nel continente sudamericano, dopo che ieri la «Bolsa» de Madrid è scivolata, con un ribasso del 5,81%, ai minimi dal '90, ovvero dai giorni della crisi del Kuwait. Ma cosa lega Mosca al Brasile? La caduta della Russia può avere, dicono gli analisti, effetti modesti sugli scambi commerciali dell'Ovest; ma l'insolvenza del Cremlino è un brutto «shock» per chi, gestore finanziario o risparmiatore, ha imprestato denari badando solo ai tassi pagati dal debitore e non al rischio. Nonostante l'allarme laciato da Greenspan sull'«azzardo morale» di certi prestiti, pochi pensavano che si potesse arrivare ad una moratoria sul debito. Ora, questo è avvenuto. E i creditori di tutto il mondo tentano di correre ai ripari, liberandosi (magari a prezzi stracciati) dei titoli degli emergenti. E' una situazione ad alto rischio, anche perché la crisi finanziaria e l'impennata del dollaro (la valuta in cui sono indebitati i Paesi emergenti) rende sempre più difficile una ripresa delle economie di Sud America o Far East. Ad aggravare la situazione, infine, c'è la caduta dei prezzi delle materie prime, la principale voce dell'export di Paesi come il Messico o il Venezuela. «A questo punto - ironizza Paul Krugman, il celebre economista scettico sulle virtù della finanza globale - i mercati dovrebbero prendere una bella dose di Prozac...». Nella crisi di agosto, «silly season», la stagione stupida, c'è una buona dose di esagerazione. Ma un fatto è sicuro: valanghe di capitali si stanno spostando sui titoli di Stato (i T-Bond Usa sono ai massimi) e i gestori dei capitali di tutto il mondo giudicano le azioni troppo care: anche quelle di Microsoft (-3 dollari) o della Ford per non parlare delle grandi banche, da American Express a Citicorp. Ugo Bertone (Chiusure delle Borse asiatiche, j UUI 3C USIUHfcl europee ed americane) MIRICA Q 'toronto-2,75 :L NOED 0 New york-0,9 issicòll,l amsterdam ■ londra-3, madrid-5,810 ■..■m&,o-MÌ i m EUROPA Qmosca ^ Cì T0I<V $HANGMA!+&43 w Q seul-0,0! K tokyo -0,61 K-<3 *Ultima rilevazione 'caracas -9,20 *$Atf raolo-3,9 IpKuENOS aires -8 M» SHANGHAI+3^ NEW DELHI-5^4 HON|^GUOTA|pE|.o#79 BANGKOK-M* Q QmANILA-1,32 kualalu*R-7,WQOs|N6Ap0RE_0^y o • GIAKARTA -2,75 syoney-0,67

Persone citate: Greenspan, Paul Krugman, Ugo Bertone