«Sì, ho temuto di non farcela»
«Sì, ho temuto di non farcela» «Sì, ho temuto di non farcela» Dentro un vano di un metro quadrato PRIGIONIERO NEL VUOTO E PINEROLO RA martedì 11 agosto», dice. «Erano le 6,30 del mattino». Sono passati dieci giorni e l'eternità. Allungato su una barella del pronto soccorso dell'ospedale civile di Pinerolo, il custode del Méd di Sestriere rivede, come un film al rallentatore, le sue ultime mosse prima di restare bloccato nell'ascensore che avrebbe dovuto portarlo agli uffici. Ha sfilato dalla tasca dei jeans questo mazzo con le 34 chiavi della torre bianca, dove ha sede il club. Quella che apre l'ingresso principale è appesa a una targhetta gialla. L'ha afferrata con un gesto automatico, lo stesso che ripete ogni giorno da quando - 2 settembre 1976 - i suoi datori di lavoro hanno chiuso l'albergo di Cortina e hanno trasferito lui, Armando Piazza detto Jimmy, al Colle. E' entrato nell'androne. Ha richiuso la porta. L'ufficio dove era diretto è al primo piano. Poteva fare due rampe di scale e arrivarci in un attimo. Ma l'ascensore era lì, al piano, ante aperte e luce accesa. E lui, ancora una volta senza pensarci, s'è infilato dentro. «Lo so, sono stato un fesso. Ma cosa vuole, con la mia stazza...». E poi, cos'è successo? «Ho schiacciato il tasto del primo piano e, paci, l'ascensore s'è bloccato. Ho pensato con terrore alla claustrofobia. E subito mi sono ricordato di aver letto da qualche parte che in situazioni del genere non resta che gettarsi a terra. E' vero, è un buon sistema». Non avrà mica passato 10 giorni per terra? «Certo che no. Ho cominciato a a ragionare. Mi sono detto: arriveranno i titolari, arriveranno gli operai che devono eseguire alcuni lavori di manutenzione. Mal che vada arriverà quella brava persona di Rivetta, che sta sotto a Pragelato e ha una copia di tutte le chiavi. Insomma, non mi sono mai perso d'animo». Neanche dopo due giorni, tre, quattro, una settimana? «Mai». E ha mai pensato alla morte? Sia sincero. «Ogni tanto sì. In quei momenti prendevo dal portafoglio il santino della Madonna Nicopeia e recitavo la preghiera riportata sul retro: "0 Maria, madre di Gesù e madre nostra, implora su di noi una rinnovata effusione dello Spirito Santo...". Anche le preghiere mi hanno molto aiutato». Niente cibo? «Niente. E pensi che quella mattina non avevo neanche fatto colazione. M'ero alzato come sempre tra le 5,30 e le 6, m'ero buttato sotto la doccia ed ero subito uscito. Pensavo di fare solo un salto alla torre bianca: dovevo vedere se erano arrivati dei fax, poi sarei andato a fare colazione al bar». Acqua? «Neanche una goccia». Scusi, ma com'è possibile? Qui i medici dicono che lei è in eccellente condizione di salute. E' sì disidratato, ma non in modo grave. E' davvero sicuro che fosse proprio martedì 11 agosto? «Guardi il mio orologio. Uno Swatch. Ha tutto: ora, mese, giorno. Non ho mai perso la cognizione del tempo. Anche questo orologio mi è servito a non perdere la speranza». In che senso? «Cercavo di stare sveglio nelle ore in cui sapevo che fuori poteva esserci qualcuno che mi sentiva. Ho dormilo solo di notte, e a volte un paio d'ore tra la mezza e le 14,30». E dall'ascensore le sono mai arrivati i rumori del Sestriere? «Sì. Un giorno ho sentito la voce di alcuni bambini che gioca¬ vano». Ma loro... «Niente, maledizione, niente. Non hanno neanche sentito l'allarme dell'ascensore. Quelle sirene suonano molto forte all'interno della torre. Ma fuori, evidentemente, non le avverte nessuno. Bisognerà rimediare». Ha avuto caldo? «No». Freddo? «No. C'era una buona temperatura, lì dentro». E l'ossigeno? Come ha fatto a non mancarle l'ossigeno? «C'era uno sportellino che garantiva un minimo ricambio. L'ho sempre tenuto aperto, usavo quella fessura anche per fare la pipì». Si rende conto di essere stato protagonista di un avvenimento eccezionale? «Via, non esageriamo. Li leggo anch'io i giornali. Ricordo un cinese disperso in mare per settimane». Sì, ma avrà pur bevuto qualcosa... «E quel minatore che recentemente è stato tirato fuori proprio dopo dieci giorni? Era anche ferito. Eppure, ce l'ha fatta». Riesce a descrivere la gioia che ha provato quando sono arrivati i soccorsi? «Non me lo dimenticherò mai. Ho sentito una chiave nella toppa e ho pensato: "Ecco, è arrivato Rivetta". Era agitatissimo. Ho quasi dovuto tranquillizzarlo io: "Sto bene, sto bene, vada a cercare aiuto"». E poi? «Poi ricordo che hanno cominciato a battere da tutte le parti, per far riaprire la porta dell'ascensore. C'era il maresciallo che mi parlava: "Fatti forza Jimmy, ancora qualche minuto e ti tiriamo fuori di lì. Io gli ho risposto: "Maresciallo, se quando le porte si aprono io non mi trovo una bella bottiglia d'acqua non mi muovo da questo ascensore». E gliel'ha portata l'acqua, il maresciallo? «Certo. Non l'ho mai trovata così buona». Gianni Armand-Pìlon «Restavo sveglio quando fuori potevano sentire il segnale d'allarme. Ma nessuno veniva» «Quando mi prendeva l'angoscia pregavo L'unica compagnia era il mio orologio Così non ho mai perso la nozione del tempo» «Non c'era nemmeno una goccia d'acqua e quella mattina non avevo potuto fare colazione» Armando Piazza sull'ambulanza che lo ha trasportato a Pinerolo e nel letto dell'ospedale dove è stato trattenuto in osservazione. Le condizioni cliniche appaiono sorprendentemente buone per un uomo di oltre 60 anni che abbia vissuto una avventura così diffìcile
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