Italia, il travaglio della sinistra di Alberto PapuzziAntonio Giolitti

Italia, il travaglio della sinistra Italia, il travaglio della sinistra Ambiguità e reticenze accanto alle condanne L A reazione del Pei all'invasione militare segnò una svolta: per la prima volta, dal dopoguerra, i comunisti italiani si dissociarono dall'azione sovietica. Il segretario del partito Luigi Longo si trovava in Russia per le vacanze estive (come Pajetta): Giorgio Napolitano, coordinatore della segreteria, avvertito nella notte fra il 20 e il 21, lo rintraccia al telefono. Gli legge un comunicato, steso a quattro mani insieme con Pietro Ingrao. Alla telefonata assistono Armando Cossutta, Nilde Jotti, lo stesso Ingrao e Mauiizio Ferrara, direttore dell' Unità. Nel comunicato si dichiara «ingiustificata» l'invasione e soprattutto si esprime «grave dissenso». Come racconta Nello Ajello nel Lungo addio, dalla Russia Longo chiese di cancellare l'aggettivo «grave», ma alle Botteghe Oscure tennero duro. Il comunicato uscì senza modifiche, firmato dall'Ufficio politico del partito. Naturalmente nel comunicato si ribadiva ritualmente «il profondo, fraterno e schietto rapporto» dei comunisti italiani con l'Unione Sovietica. Al vertice del partito, all'epoca diviso fra amendoliani e ingraiani, dirigenti come Ambrogio Donini erano comunque contrari a sposare posizioni antisovietiche. La stessa Unità denunciava «la gazzarra della stampa borghese» e attaccava Nenni per le sue critiche alla mancanza di libertà in Urss. Ma il problema era il filosovietismo della base: dopo l'invasione, la maggioranza dei nulitanti si dichiaravano solidali con i compagni sovietici. Dicevano: «Hanno fatto bene». La lezione del 1956 sembrava non aver insegnato nulla: Quaderni piacentini, nel numero 36 del novembre '68, dedicherà l'editoriale alla «diseducazione politi¬ ca» della base comunista. «Ricordo la posizione del Pei come timida e imbarazzata», dichiara oggi Antonio Giolitti, uscito dal Pei nel 1956, autorevole leader del Psi. «Era legittimo, dopo Budapest, aspettarsi mia reazione più decisa dai comunisti italiani. Ma come, ci si diceva, ci siamo di nuovo? In realtà il Pei si trovava in una situazione di debole interregno. Quella di Longo è stata infatti una segreteria burocratica, fra Togliatti e Berlinguer. Il modo in cui il Pei reagì dimostrava una incapacità a guidare il partito: era la reazione di un vertice che non si sentiva più sicuro, non aveva l'autorità per assumere una posizione realmente autonoma. Per cui prevalse la tendenza a barcamenarsi». Nella sinistra italiana, mia posizione netta contro l'invasione venne assunta sia dalla Cgil sia dal Psi, mentre il Psiup, di Basso e Lussu, costituitosi nel 1964 da una scissione fra i socialisti, si rifugiava in una posizione anodina: Vittorio Foa, che ne faceva parte, ricorda in una pagina del Cavallo e la Torre che il Psiup prese «una posizione ambigua» che suonava come «dipendenza dall'Urss». Ma all'interno del Pei si era aperta una violenta discussione, perché un piccolo gruppo di ingraiaiù, con Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Aldo Natoli e Massimo Caprara, vedeva nell'invasione non un errore politico ma il segno di una degenerazione del sistema sovietico. Nasce allora, coi carri armati che spengono le speranze della Primavera di Praga, la vicenda che porterà meno d'un anno dopo alla costituzione del gruppo del manifesto. Ciò che più sorprende oggi sono le reticenze della Nuova sinistra, allora nascente, di fronte all'invasione. Il filone del movimento studentesco e i primi gruppi extraparlamentari avrebbero dovuto sposare la causa dei giovani e degli studenti d'oltre cortina, invece si distinsero per «la scarsa mobilitazione contro l'invasione», come scrivono Marcello Flores e Alberto De Bernardi nel volume II Sessantotto. E un protagonista dell'occupazione di Palazzo Campana, Peppino Ortoleva, in Movimenti del '68 in Europa e in America ne mette in luce «l'atteggiamento di diffidenza, a tratti di ostilità». Oppure si tendeva, come scrisse Paolo Hutter su Lotta continua, ad avere atteggiamenti opposti a quelli della stampa borghese. «Bisogna sfatare certi miti - dice Luciana Castellina, nel gruppo del manifesto dagli inizi -. Quello che veniva chiamato il movimento, e da cui nacque la Nuova sinistra, non fu per niente colpito dalla vicenda di Praga. Perché aveva la testa altrove, come ha raccontato Paolo Mieli, in mia recente rievocazione di quella estate, sul manifesto. L'invasione della Cecoslovacchia fu un momento di passione per i comunisti, non per la Nuova sinistra. Quando noi cercammo di portare la nostra critica al sistema sovietico dentro il movimento, non trovammo interlocutori. Infatti nel giugno del 1969 il primo numero del manifesto uscì con mi editoriale così intitolato: "Praga è sola"». Alberto Papuzzi Qui accanto Luciana Castellina, a destra Antonio Giolitti