La rabbia muta degli studenti

La rabbia muta degli studenti Terrore, sangue, barricate: le drammatiche ore dell'invasione nei ricordi d'un cronista a Praga nel '68 La rabbia muta degli studenti A mani nude contro 50 mila soldati e 500 carri armati ALLE 7 del mattino del 21 di agosto del 1968, suona il telefono. Soltanto da otto giorni sono approdato a Sa Ibaudia, dopo quattro mesi di Primavera sicché, svegliato di soprassalto, non riesco subito a capire dove mi trovi: se nella camera 428 dell'hotel Alcron di Praga ovvero a casa. Ma la voce al telefono è quella di «Lui», Giulio De Benedetti: «Le leggo questo flash: "L'Urss ha invaso la Cecoslovacchia... Vuole che vada avanti?». No, rispondo stravolto e insieme rassegnato: vedrò di prendere il primo aereo per Vienna. «Ma è Praga la sua destinazione». Non sarà facile arrivarvi. «E chi ha detto che sarà facile? Auguri». Drasenhofen, frontiera austrocecoslovacca, 22 di agosto, notte. Radio Praga (clandestina) trasmette che il «vertice patriottico» (Dubcek, Smrkovski, Cernie), è prigioniero dei russi. Alle 4 del mattino del 21 di agosto, i tanks sovietici circondano la sede del CC del partito comunista. «Lei è in arresto per alto tradimento», dice un ufficiale del KGB a Dubcek. Giù nel cortile è schierato un plotone di esecuzione russo. Gli arrestati resteranno (bendati) al muro tre interminabili ore. Durante le quali i sovietici tenteranno invano di inventare un governo fantoccio; sicché un aereo li porterà (imbrattati dei loro stessi escrementi, digiuni ma indomiti) a Mosca. E mentre li tenevano, legati, al centro d'un salone del Cremlino, coi gerarchi che gli giravano intorno dileggiandoli, Svoboda, ricevuto con tutti gli onori, incrollabile ripeteva: senza Dubcek, senza tutti i compagni io non discuto. Con nessuno. Sono pronto a tirarmi un colpo alla tempia, qui, al Cremlino». Alla fine Dubcek e i suoi tornarono a Praga, accolti come eroi. Ma la Primavera era morta. Praga, 23 di agosto, notte. Scrivo alle 2,30 dopo la mezzanotte, in un albergo semideserto dove sono approdato dopo un fortunoso viaggio durato quasi 12 ore. Non sono sceso all'AZcron perché ho un passaporto «nuovo» dove non figura l'odiosa, pei russi, parola: giornalista. Demetrio Volcich è riuscito a non farmi registrare aWEsplanade, dov'è di casa, col nome vero. Il greve silenzio notturrno è rotto dallo spalare degli elicotteri, quindi dal crepitare rabbioso dei mitragliatori. Gli elicotteri cercano di individuare i trasmettitori di Radio Libertà; le pattuglie dei mongoli dell'Armata Rossa, iparà bulgari sparano sui giovani che, obbedendo agli ordini del Fronte della Resistenza, si affannano a svellere i numeri civici, a cancellare i nomi delle strade per fuorviare la polizia segreta sovietica. Entrando in Cecoslovacchia, ho visto tracciata sui musi di Censky Velica questa scritta: «1968=1939». Oggi come allora, tutto il popolo è contro l'invasore, ma questa volta a braccare i cèchi non sono i nazisti bensì «i compagni sovietici», gli stessi che un giorno, «ahimé quanto lontano, salutammo nostri liberatori». L'occupazione sovietica appare davvero stupefacente, il frutto d'una psicologia rozza. Rivolgendosi alla «turpe accolita dei russi bianchi», Blok, il poeta della Rivoluzione d'Ottobre, annuncia: «Sì, vi mostreremo la nostra faccia / Sì, la nostra terribile / Faccia asiatica». Dubcek era un eroe nazionale, è diventato un martire. Ieri, chissà perché, rapida come folgore, s'è sparsa la voce che l'avessero fucilato. Rabbiosamente disperati, migliaia di giovani, subito radunatisi nella grande piazza vecchia, dov'è il monumento al riformatore Hus, abbrunato in segno di lutto, hanno di- mostrato contro i russi e i bulgari che nella piazza bivaccano. I giovani si tenevano sottobraccio avanzando decisi contro i soldati. Non gridavano, marciavano muti e quel silenzio deve aver fatto saltare i nervi ai soldati che, prima hanno sparato in aria, poi alle gambe. Mi trovavo, in quel momento, all'angolo della casa di Smetana, dal cui balcone, la sera dopo Cierna (quando Dubcek strappò un illusorio compromesso a Breznev), Smrkovsky parlò al popolo assicurando che «nessuno aveva tradito». Nella rotta seguita alle raffiche ho visto un ragazzo stringere una bandiera sporca di sangue, fanciulle con la coccarda tricolore sul petto che urlavano: «Andiamo a prendere i feriti», altri giovani trascinarsi penosamente carponi. Nell'aria umida di pioggia vischiosa vorticava un funesto odor di cordite, si respirava ira, terrore. Subito dopo, al posto dei ragazzi scendevano in piazza donne e vecchi scandendo in coro una sola parola: «Proc?», perché?, ripetuta in russo: «Pocemù?». «Ridateci il nostro Dubcek»'. La Pravda lo ha bollato di tradimento, ma l'altro ieri il 14° Congresso straordinario del pc cèco lo ha (clandestinamente) rieletto, con un solo astenuto, primo segretario. Praga è occupata da 50 mila soldati, autoblindo e carriarmati in numero di 500 sono sparsi dappertutto. Una corona di foglie verdi indica il posto dov'è caduta la prima vittima dell'occupazione, un ragazzo di 13 anni. Gli studenti avevano gettato di traverso la strada due gru da dieci tonnellate, tagliato i fui del tram, fatto barricate con le automobili per impedire che i tanks procedessero verso la radio. Tuttavia i carriarmati hanno spazzato ogni ostacolo. I feriti si sono fasciati con le bandiere, uomini saltavano sui carri con le mani lorde di sangue a sporcare il viso dei soldati russi: «Ecco le vostre mostrine, portatele alle innamorate». E i soldati non battevano ciglio, avanzavano travolgendo tutto. Un altro ragazzo è finito sotto i cingoli: passato il tank, di lui non rimaneva che un sandalo e un paio di pantaloni in una gora di sangue. La gente correva ad inginocchiarsi, intingendo le dita nel sangue e segnandosi. Al di là del palazzo, davanti alla radio, nove studenti erano balzali su di un camion di munizioni celate da un telone, appiccandovi il fuoco. Con un fiammifero. Un solo fiammifero, tredici morti: i nove studenti, i due conducenti russi del camion, una donna, un uomo. Uscendo a prendere una boccata d'aria sbatto contro un maggiore del KGB. «Sdràsvitie (salve), signor maggiore», dico in russo consegnandogli il passaporto. «Sdràsvitie tavarisfo), risponde restituendomi il documento. Poi: «Italiano? Io sono stato a Salerno, a Capri. Gorkij, il nostro grande scrittore, amava molto Capri». «Lo so». «E' mai stato in Russia?». «No, mai». «Strano, s'incontrano tanti italiani a Mosca, la notte c'è molta gente allegra in giro». «Non come qui a Praga», arrischio. Pausa. «Signor maggiore, è già stato a Praga?». «Certo, è una bellissima città. Noi amiamo molto la Cecoslovacchia, il popolo cèco, il popolo slovacco». «A giudicare da quello a cui stiamo assistendo non direi che si tratti di un amore ricambiato». «Sciocchezze, ad abbaiare sono solo pochi cani controrivoluzionari. Presto i cani cesseranno di abbaiare alla luna». «E se non lo faranno?». «Lo faranno, lo faranno». Una vecchia signora si è suicidata lasciando scritto: «Avevo detto che il mio povero cuore non avrebbe retto ad un'altra invasione. Così me ne vado, dicendo addio, povera patria mia». Conoscevo quella signora. Igor Man P.S. 'lutto il mondo sta celebrando la Primavera di Dubcek, Praga si astiene. Alena Cicerova intendeva girare un documentario sulla Primavera di Praga, sulle «Duemila Parole» che segnarono la fine della censura in Cecoslovacchia, facendo impazzire Breznev. Ma la Cicerova sembra non trovar nessuno disposto a parlare del '68 di Praga. «Parlano tanto e in tanti ma davanti alla telecamera si bloccano». L'Urss non esiste più ma (forse) la paura della Russia continua. Ma è anche vero che nel 1989 la «rivoluzione di velluto» di Havel ha sepolto (per sempre?) la «schizofrenica, spontaneista» Primavera. Gli intellettuali resuscitati da Dubcek pensavano di contrabbandare una democrazia mitteleuropea col «socialismo dal volto umano». Fu un tragico errore. «E questa è la fine definitiva assoluta /1 disertori staranno meglio di noi», scrisse allora un Poeta sotto lo pseudonimo di Miroslav Zeman. [i. m.J A sinistra un corteo per le strade di Praga: sul cartello la scritta «Andate a casa». Sopra Alexander Dubcek, il grande protagonista della Primavera