La seconda epopea dell'oro nero di Domenico Quirico

La seconda epopea dell'oro nero Quando settecentomila operai trivellavano il deserto inneggiando a Mao La seconda epopea dell'oro nero PRIMA il petrolio poi la vita»: lo ripetevano i soldati quando a quaranta gradi sottozero, flagellati dal vento polare, con povere zappe scavavano la terra dura del Nord. «Prima il petrolio poi la vita»: ripetevano come una preghiera i settecentomila operai fatti affluire da ogni parte della Cina, inquadrati come un esercito. Le tempeste di polvere sfibravano il rosso sodo della bandiere, anche gridare il nome di Mao era un supplizio. Ma bisognava animare un deserto che perfino gli imperatori avevano abbandonato alle galoppate dei barbari. «Prima il petrolio poi la vita» gridavano giovani studenti che brandivano i ritratti del Grande Timoniere come uno scudo quando l'ansimante locomotiva che saliva da Harbin li scaricava in quel nulla. Erano i migliori, scelti in tutto il Paese per combattere la battaglia decisiva, in prima linea. Erano «gli uomini di Daqing», una definizione che valeva, nel Paese della eguaglianza, come un titolo nobiliare. Il compagno Wang Chin-tsi era il primo di loro. Lo chiamavano «l'uomo di ferro»; gli operai che aveva guidato alla ricerca del primo fiotto di petrolio lo adoravano. Tutta la Cina lo adorava quando con il suo linguaggio fantasioso diceva: «Voglio battere sulla terra con il mio pugno fino a quando il petrolio uscirà». Sembrava una poesia del Grande Timoniere; e infatti Lui, Mao, ambiguamente sorridente, ripeteva: «Imparate da Daqing». Wang era un fanatico e tutta la Cina doveva essere fanatica. Una trivella lo colpì sca¬ raventandolo a terra privo di sensi. I suoi compagni urlavano di lutto e di dolore e lui si rialzò rimproverandoli perché non si piange «un compagno morto sul campo di battaglia». Bisognava essere fanatici per essere lì, per sopravvivere. «Grande anniversario» avevano clùamato quel nulla, perché il fiotto di oro nero era, mitologicamente, spillato nel primo anniversario della Repubblica Popolare. A Daqing non si andava per lavorare, si andava a una guerra. Chi cominciava quell'impresa titanica sapeva che doveva obbedire senza discutere. E Wang combatteva, infatti, senza farsi domande, arrancando tra la polvere, sporco di bitume e di fango, gridando la gloria del Presidente Mao e la vergogna dell'imperialismo. Il giornale di Daqing si chiamava «Zhambao», bollettino di guerra, e il ritratto di Wang c'era sempre. Piaceva quel fanatico, quello stakanovista, alla Banda dei quattro che ne fece un eroe della Rivoluzione culturale. L'entusiasmo sostituiva i macchinari inesistenti, oliava i vecchi residuati d'anteguerra confiscati ai giapponesi o filtrati dalla avara fratellanza sovietica. Bisognava contare sulle proprie forze e gli croi di Daqing sfregarono la loro vita su quella terra inospitale: d'inverno le temperature polari rischiavano di solidificare il greggio nelle tubazioni e bisognava riscaldarlo perfino nello pompe. E poi quel miracolo era gonfio di paraffina, bloccava le vene degli oleodotti come sangue spesso. Quando il grande Dio di Pechino fu messo a riposare nel mausoleo sulla Tienanamen e i suoi sacerdoti cacciati dal tempio, l'ombra scese su Daqing. Il ministro che aveva coniato il motto «prima il petrolio poi la vita» fu criticato e cacciato nell'ampio limbo dei cattivi. Alcuni operai erano morti in un incidente e il nuovo corso rovesciò il motto: prima la vita poi il petrolio. I vecchi guerrieri cercarono di resistere aggrappati alla loro lunga marcia di sudore. Da Pechino arrivò, definitiva, la scomunica: «Gli operai di quei campi, pur avendo compiuto imprese validissime, sono diventati troppo soddisfatti di se stessi e arroganti. Mancano di modestia e non ricercano la verità nei fatti». Wang era morto da molti anni stroncato da un cancro che era le stigmate di quella lotta apocalittica. A lungo i visitatori erano sfilati davanti alla sua foto posta accanto a quella di Mao, mentre intorno gli operai salmodiavano: «Noi seguiremo l'esempio del nostro caposquadra, l'uomo di ferro». Poi un giorno la stanza è stata chiusa. Era finita l'epopea, cominciavano i tempi nuovi. Ora i nuovi Timonieri in Lacoste arrancano nel fango degli argini sconvolti e inneggiano alla lotta, a mani nude, degli operai e dei soldati per difendere i pozzi, gridano di combattere fino alla morte per piegare l'ira del Grande fiume Sui giornali compaiono le foto dei nuovi eroi dell'inondazione. In Cina è sempre l'epoca di Wang. Domenico Quirico

Persone citate: Mao, Wang Chin-tsi

Luoghi citati: Cina, Daqing, Pechino