Una strana guerra con il signor Terrore di Gabriele Romagnoli

Una strana guerra con il signor Terrore Una strana guerra con il signor Terrore E NEW YORK una giornata che si consegna al futuro mettendoci sotto gli occhi la sproporzione tra le ire di una ragazza che non si è sentita abbastanza apprezzata e quelle della persona più importante del mondo che difende i destini degli uomini, ovunque, e annulla quelli di chi li minaccia, dappertutto. Dovessimo mai scoprire che la seconda ira era figlia della prima e tutto questo era solo un'amara parodia dell'Iliade, con una guerra scatenata dall'orgoglio di una donna ferita, allora l'esistenza su questo pianeta si ridurrebbe a una barzelletta sporca da non ascoltare più. Meglio credere, se non a Bill Clinton, il che riesce ormai difficile, a Newt Gingrich e alle sue pubbliche assicurazioni secondo cui la rappresaglia era programmata da tempo ed è avvenuta al momento opportuno, senza coincidenze esterne a dettarla. Nel giorno dell'ira Bill Clinton ha preso una decisione sorprendente e carica di conseguenze. L'attacco, come si conviene, è avvenuto senza alcun preavviso. Come tattica militare è ineccepibile, ma anche i fondamenti logici dell'operazione, le motivazioni che hanno indotto a darle il via appaiono, per quel che è stato dato sapere finora, lacunose. Osama Ben Laden, il capo della fazione terrorista, è un bersaglio che ha fatto di tutto per rendersi degno di essere colpito, ma le circostanze in cui questo è accaduto restano, almeno per ora, poco chiare. L'uomo è un pericolo viaggiante, non si discute. Ha una schiera di accoliti pronti a uccidere e dispone dei mezzi economici sufficienti per armarli in modo letale. Ha, inoltre, l'inaccettabile abitudine di rilasciare pubbliche interviste in cui incita ad ammazzare gli americani ovunque e a non fare alcuna distinzione tra militari e civili, perché, sostiene, essi così si comportarono durante la guerra del Golfo. Esiste, inoltre, se è vero quanto affermato nei giorni scorsi dall'Fbi, la prova del suo coinvolgimento negli attentati alle ambasciate d'Africa, prova direttamente fornita dalla confessione di uno dei terroristi e dalle successive indagini. Se così è, quest'uomo è l'espressione della forma peggiore di terrorismo, quella che semina ovunque l'odio e dappertutto va a raccoglierne i frutti di morte. Rispondere in modo altrettanto globale e letale, evitando però di colpire obiettivi che non siano collegati alla sua attività terroristica, può essere giustificato davanti all'umanità e alla storia, soprattutto a quella delle persone estratte senza più vita dalle macerie di Nairobi e Dar es Salaam. Ma che questo fosse, come afferma Gingrich, il «momento giusto» per farlo si può dubitare. Almeno se è vero che il numero due del governo afghano aveva promesso aiuto per la cattura di Osama Ben Laden, nel caso avesse avuto le prove della colpevolezza. Ci si può fidare della parola di un taleban? Perché, di quella di Bill Clinton? Saranno esibite al mondo le prove che quest'uomo ha ordinato le esplosioni nelle ambasciate d'Africa? Verrà dimostrato che davvero le fabbriche bombardate in Sudan (opportunamente di sera, quando, si suppone, nessuno ci lavorava) producevano armi chimiche e non medicinali come strepitava alla Cnn un ministro del go¬ verno locale? Stava, questi, replicando la commedia imparata dagli iracheni o dicendo una inaccettabile verità? Ed era così indispensabile colpire, lì e ora, Bin Laden? Perché non fu analogamente colpito qualunque altro burattinaio del terrorismo spintosi, in passato, a ferire gli Stati Uniti fin nel cuore di New York? La carta della vendetta giocata da Clinton è di quelle che cadono pesantemente sul tavolo, statuisce un precedente che può risultare un formidabile deterrente o rendere ancora più forte l'odio di parte del mondo arabo verso il Satana adultero e vendicativo. Per la seconda volta in tre giorni Bill Clinton ha imboccato una strada senza ritorno. Lontano e ridicolo appare il lunedì nero in cui ammetteva la «relazione impropria» con Monica Lewinsky. Riderne e allentarle da noi è quel che dovremmo fare delle obiezioni sul «dove», «quante volte», «in che modo esattamente». Il giorno dell'ira riporta al centro della discussione ben altre questioni politiche e giuridiche. Ci impone di domandarci se esista e in quali limiti il diritto di rappresaglia, la sovranità sul territorio, se una violazione ne legittimi un'altra, se al terrorismo si debba o possa rispondere con la forza militare. Ci lascia pieni di interrogativi sul «dove» le bombe siano cadute, «quante» ne siano state tirate, «in che modo esattamente». Ci fa domandare se siano stati davvero colpiti obiettivi legittimi. E mentre aspettiamo le risposte a queste domande, da cui dipende l'ordinamento del mondo intero, non accettiamo, neppure per un secondo, di lasciarci tormentare dal dubbio che tutto questo sia accaduto per distrarre l'attenzione dall'ira di Monica. Perché, se così fosse, dovremmo affidare le nostro sorti al giro di ruota di un croupier ubriaco piuttosto che agli uomini che abbiamo scelto per governarle. Gabriele Romagnoli Il Presidente ha imboccato una strada senza ritorno, le discussioni sulla «relazione impropria» sembrano lontane ma si aprono tanti dubbi, troppe domande

Persone citate: Bill Clinton, Bin Laden, Clinton, Gingrich, Monica Lewinsky, Newt Gingrich, Osama Ben Laden

Luoghi citati: Africa, Dar, Nairobi, New York, Salaam, Stati Uniti, Sudan