Doppia vita e doppia morte per l'assassino di Sissi di Tito Sansa
Doppia vita e doppia morte per l'assassino di Sissi Nel centenario dell'attentato ritrovate e pubblicate le memorie dell'anarchico Lucheni Doppia vita e doppia morte per l'assassino di Sissi AVIENNA cent'anni dall'assassinio (10 settembre 1898) dell'imperatrice Elisabetta I d'Austria, meglio nota come Sissi, mentre l'anniversario viene celebrato con biografie, mostre, concerti, sfilate di moda, dolciumi, profumi, liquori, improvvisamente il mondo si ricorda di Luigi Lucheni, il giovane anarchico italiano nativo di Parma che con una lima da falegname le trafisse il cuore a Ginevra, sulla riva del lago. Luigi Lucheni, che in realtà non voleva uccidere Sissi, fa parlare di sé per due motivi: a Ginevra un antiquario di nome Santo Cappon ha trovato tra le vecchie carte del padre (morto di recente alla bella età di 103 anni) il diario autografo del regicida, mentre a Vienna il Museo patologico dell'Ospedale Generale ha deciso di sbarazzarsi della testa di Herr Lucheni, conservata sotto spirito in una teca non accessibile a chi non sia uno studioso di anatomia, criminale o non, e non mai fotografata da alcuno. Le memorie dell'assassinio di Sissi escono a Parigi e a Vienna (qui, presso Paul Zsolnay Verlag, con un titolo inesatto, Non mi pento di nulla, mentre più appropriato è quello francese, Memorie dell'assassino di Sissi. Storia di un bambino abbandonato alla fine del XIX secolo, pubblicato da Le cherche midi). Sono raccolte in cinque quaderni scritti da Lucheni durante i lunghi anni di reclusione nel carcere di Ginevra e poi scomparsi, certamente rubati. Il furto fece impazzire di rabbia il giovane anarchico fino ad allora carcerato modello e lo indusse a togliersi la vita nell'ottobre del 1910. Non c'è comunque nulla di sensazionale sulla morte di Sissi. Lucheni racconta la sua vita di volontario in Eritrea, di attendente del granduca di Napoli e di «soldato emerito» costretto poi all'emigrazione perché in Italia non trovava un lavoro decoroso («Non rispondevano neppure alle mie lettere», lamenta), fino ai contatti con gli anarchici italiani rifugiati in Svizzera, che lo trasformarono. «Viva l'anarchia!» scrive Lucheni passato dalla parte della disciplina a quella della rivolta. «Dovevo uccidere una personalità» ha lasciato scritto. In realtà mirava a Re Umberto (assassinato due anni più tardi a Monza dall'anarchico Gaetano Bresci), ma trovandosi a Ginevra puntò sul duca Henri d'Orléans. Il duca era però partito e per caso da un trafiletto della Tribune de Genève Lucheni apprese che ospite del Grand Hotel «Beau Rivage» era, sotto falso nome, la famosa Sissi. Fu lei, in realtà più contestatrice e più anarchica di lui, la vittima dell'anarchico da strapazzo. La famosa fotografia di Lucheni sorridente tra due baffute guardie svizzere mostra la sua soddisfazione, della quale nel libro non vi è traccia. Definito dallo scrittore Mark Twain «personaggio all'infimo grado della scala umana, senza moralità, senza carattere», chiamato dai giornali dell'epoca "iena", "bestia selvaggia", "mo¬ stro" , Lucheni risulta dalle sue memorie scritte in francese (lingua imparata in carcere) come persona sensibile e interessata alla cultura. Nel solo 1901 lesse più di cinquanta libri, citava a memoria passi della Divina Commedia e dalle opere di Voltaire e Montesquieu. Luigi Lucheni era insomma un uomo dalla doppia vita. E ha avuto anche una «doppia morte». Per motivi di studio il cadavere dell'anarchico assassino fu infatti decapitato, il corpo sepolto in una fossa del carcere di Ginevra, la testa messa sotto spirito e conservata. Oggetto di studio all'inizio del secolo, quando ancora si credeva alle stimmate del criminale, la testa è dal punto di vista dei patologi del museo viennese, priva di interesse, «una testa qualsiasi che non dice nulla». Alcuni anni fa il direttore del Museo patologico di Vienna, Karl Portele, noto per la sua macabra passione per i crani, chiese ai colleghi elvetici di poter studiare la testa mozzata di Lucheni. Gli svizzeri furono lieti non solo di prestarla, ma di sbarazzarsene chiedendo ai colleghi austriaci che la donazione rimanesse segreta e che la «reliquia» non venisse mai fotografata. Detto fatto. Ma di recente, benché la regola del patologo è di «gustare tacendo», la notizia è trapelata; e nel museo che ospita la più importante collezione di reperti medici dei secoli passati migliaia di persone si fanno ora vive soltanto per chiedere di vedere la testa sotto formalina. «Non ne possiamo più - ha detto giorni fa Beatrix Patzak, direttrice del museo -. Abbiamo deciso di seppellire la testa. In luogo segreto, si capisce». Tito Sansa Da buon soldato a rivoluzionario; la sua testa verrà sepolta soltanto ora Qui sopra, l'anarchico Lucheni sorridente fra due gendarmi svizzeri subito dopo l'attentato; a destra, Sissi, imperatrice d'Austria
Persone citate: Beatrix Patzak, Cappon, Gaetano Bresci, Herr, Karl Portele, Luigi Lucheni, Mark Twain, Paul Zsolnay Verlag
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