Cristo non ha bisogno di integralismi. Finanziaria senza tasse: un sogno

Cristo non ha bisogno di integralismi. Finanziaria senza tasse: un sogno AL GIORNALE Cristo non ha bisogno di integralismi. Finanziaria senza tasse: un sogno La religione non è terrorismo Sono un seminarista ventisettenne che a ottobre diventerà diacono e prete col prossimo giugno. Scrivo dopo aver letto la lettera della signora Paola Gatti di Torino, le cui argomentazioni ho trovato superficiali, banali, semplicistiche e, a tratti, inconsapevolmente blasfeme. Vale come esempio dei primi aggettivi l'apprezzamento implicito che la signora Gatti dimostra per l'integralismo religioso quando non venga confuso con i suoi risvolti politici e come affermi che sia tale mtegralismo la causa della «spettacolare rinascita e diffusione nel mondo dell'Islam e dell'Ebraismo». Ma a me sembra molto difficile tenere separati, soprattutto nell'Islam, l'integralismo e le sue conseguenze «politiche», (se con questo termine la signora intendeva tutta la triste storia del terrorismo) e comunque, se per rilanciare in modo spettacolare (?) il cristianesimo fosse necessaria una qualche forma di mtegralismo, smetterei immediatamente la mia missione sacerdotale. Quanto all'accusa di blasfemia, chiedo se la signora torinese ha ricevuto in visione dallo Spirito Santo stesso la comunicazione della sua volontà di isterilire «questa Chiesa postconciliare e modernista», e, se così non è, di non azzardarsi in affermazioni di cui non comprende bene neanche il significato. Per il resto, invito la signora Gatti a dimostrare: a) che il sacro e la trascendenza abbiano a che fare con la riconoscibilità e il modo di vestire dei sacerdoti; b) che la talare sia «tanto amata dai fedeli» e che contenga un «formidabile messaggio positivo». In alternativa, esorto fraternamente la signora Gatti, che devo presumere credente, a leggersi i documenti del Concilio Vaticano II da figlia della Chiesa e, finché non l'abbia fatto, a tacere riguardo a realtà su cui dimostra di non aver riflettuto af¬ fatto, infarcita com'è di luoghi comuni. Il giornale ha il mio indirizzo se invece volesse continuare il dialogo privatamente. Natale Borasi Coitemaggiore (Pc) La cresta dei Comuni sui tributi Si approssima la finanziaria '99, e già si parla del solito ritornello di tutLi gli anni: tagliare i trasferimenti ai Comuni. Sarebbe eccellente cosa, se i Comuni a loro volta tagliassero le spese. L'esperienza, invece, ci ha mostrato che regolarmente vengono tolti alcuni fondi che lo Stato di solito fornisce agli enti locali, per consentire agli stessi, contemporaneamente, di far crescere qualche addizionale o altra tassa. Così è stato con l'Ici, che dal 6 è salita al 7 per mille. Così per le rendite catastali, fatte crescere, ai fini fiscali, del 5 per cento. Così per il tributo ecologico delle Province, che quasi ovunque è arrivato al tetto del 5 per cento. Così sarà per l'addizionale Irpef. Non è finita: i Comuni non si accontentano di recuperare quanto Io Stato non trasferisce ad essi, ma ci fanno pure la cresta. Aggiungiamo che gli enti locali lucrano enormemente su luce, gas ed acqua, con balzelli di vario tipo che soffocano le bollette. Ma naturalmente si dirà che si fanno tagli, che il carico fiscale non cresce e così via. Già: quello statale cresce di poco (?), e quello locale cresce di molto. A quando una finanziaria che non solo non consenta di far salire qualsiasi tipo di tassa a favore di chiunque, ma anche ne tagli qualcuna? Vincenzo Calzolari, Ferrara L'immigrazione e i lavori umili Non riesco a capire perché l'Italia debba diventare ad ogni costo un «Paese d'immigrazione». L'immigrazione terzomondista, come è ben noto, crea enormemente più problemi di quanti non risolva ed è un cammino senza ritorno: una volta entrati, gli immigrati non li sloggia più nessuno. L'Italia non ha mai avuto di questi problemi, che travagliano altri Paesi, ed ora vuole crearseli con le sue mani? L'affermazione che c'è biso¬ gno di immigrati, perché u~si fanno lavori che gli italiani rifiutano, è una delle più grandi menzogne del nostro tempo. La verità è che gli italiani rifiutano di essere sottopagati, gli immigrati (almeno temporaneamente) no. Se i salari miserabili salissero, per carenza di disperati disposti ad accettarli, come sareb¬ be possibile oltre che dignitoso, tali lavori li farebbero ben volentieri gli italiani, il che contribuirebbe potentemente ad alleviare il problema della disoccupazione. Invece siamo al paradosso: non abbiamo lavoro da dare agli italiani e consentiamo a decine di migliaia di extracomunitari di entrare in Italia e occupare posti di lavoro! Insomma, l'immigrazione deve essere bloccata (e non solo regolamentata) e le espulsioni devono essere effettive (e non false, come quelle di Napolitano). La Spagna, molto più accessibile dell'Italia, non ha il problema degli immigrati per un semplice motivo: tanti ne entrano e tanti sono espulsi. Queste considerazioni sembrano di tale evidenza da far sorgere il dubbio della malafede: non vorrei che l'attuale governo di sinistra fosse ben lieto di accogliere migliaia di immigrati, per poi dare loro il voto nelle elezioni amministrative, assicurandosi così il controllo di tutte le grandi città. Sarebbe un calcolo cinico, fatto sulla pelle degli italiani, particolarmente spregevole se abbinato al rifiuto di dare il voto agli italiani che lavorano all'estero (sospetti di votare prevalentemente per la destra). Carlo Ferrerò, Torino dirigente industriale Riforma universitaria che cosa c'è di buono La riforma dei concorsi universitari, peraltro nota in maniera incompleta, giacché non è ancora stato emanato il regolamento d'attuazione, ha attratto l'attenzione del mondo accademico. La Stampa ha riportato pareri in varia misura contrari. Mi sia consentito mettere in evidenza alcuni aspetti positivi, dal punto di vista delle università ritenute, a ragione o a torto, «minori». E' accaduto spesso, sinora, che i vincitori di un concorso, magari provenienti da una sede «maggiore», andassero per periodi brevissimi, anche solo di un anno, in una sede periferica, ritornando poi, il più presto possibile, alla sede di provenienza o ad una sede prossima. Un tale com portamento, diffusissimo, non porta né ad una crescita scientifica, né alla soluzione di problemi didattici, talvolta molto seri, per la sede che aveva mésso il si posto a concorso. Di fatto, tratta di una donazione eseguita dalle sedi ((minori» a favore di quelle «maggiori». Tali comportamenti sminuiscono di molto uno dei lati positivi (teorici) dell'attuale sistema, vale a dire la circolazione dei professori tra le varie università. Perciò, a mio parere, è corretto che una sede periferica possa preferire un vincitore, scientificamente valido, che dia garanzie di rimanere ed operare, dal punto di vista scientifico, nella sede che ha messo il posto a concorso al vincitore, ipoteticamente migliore, ma che promette (o minaccia) di trasferirsi alla prima occasione. La nuova riforma rafforza il potere contrattuale delle università nello scegliere il personale scientifico e docente. Sarebbe stato auspicabile spingersi oltre, lungo questa strada; quelle ora messe in atto sono, dopo tutto, misure timide. Altri sistemi hanno regole più severe. Per esempio, è scomparsa, dalla bozza della presente legge, la disposizione che, pur con eccezioni, avrebbe impedito di compiere l'intera carriera all'interno della stessa università. E' anche un peccato che siano rimasti in vigore i trasferimenti; se ogni università, o, meglio, ogni Dipartimento, avesse potuto scegliere, in un solo tipo di concorso, tra un ricercatore già affermato ed uno in attesa di promozione, si sarebbe stimolato l'impegno di tutti nelle attività di ricerca e di insegnamento. Carlo Sempi Dipartimento di Matematica «Ennio De Giorgi» Università di Lecce f LA STAMPA Via Marenco 32,10126 TORINO/ fax OH -6568924 M I e-mail lsHere@lastampa.it I

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