'69, l'anno-bomba che ci ingannò

'69, l'anno-bomba che ci ingannò revisioni. Le inattese confessioni in un volume che ripercorre l'autunno caldo dei cineasti '69, l'anno-bomba che ci ingannò / registi impegnati fanno autocrìtica BNA notte, facendo zapping davanti al piccolo schermo, Federico Fellini s'imbattè in quello che considerava un piccolo gioiello della cinematografia italiana, il film Uomini contro di Francesco Rosi, tratto dal romanzo di Emilio Lussu Un anno sull'altipiano. Quando la proiezione ebbe termine erano le 2,30, ma il grande regista non seppe contenere il suo entusiasmo e afferrò il ricevitore e svegliò l'amico per comunicargli che di quella pellicola «si era proprio innamorato». Il film, che descriveva in chiave antimilitarista l'esperienza di un giovane ufficiale nella Grande Guerra, fu girato da Rosi in un momento cruciale della storia culturale e politica italiana: nel 1969, l'anno dell'autunno caldo e della strage di piazza Fontana. L'episodio lo ricorda lo stesso regista in un'intervista raccolta nel bel volume a cura di Italo Moscati 1969. Un anno bomba. Quando il cinema scese in piazza, che uscirà a giorni da Marsilio (con interventi di Renzo Renzi, Roberto Silvestri, Gianni Cauti, Gianni Volpi, Enzo Lavagnini, Gualtiero De Santi, Nicola Bertini). Fu un anno proprio speciale il 1969: in quei mesi si sarebbero dovuti raccogliere i frutti del libertario e anarchico '68 e delle sue sollecitazioni in campo culturale e politico. Ma in quegli affannosi ed esaltati dodici mesi, in cui si manifestava contro la visita in Italia di Nixon, il manifesto veniva radiato dal Pei, era approvata la legge sul divorzio, in politica si apriva la strada al terrorismo e alla «strategia della tensione». In àmbito letterario e artistico si sventolava la parola d'ordine dell'impegno e della politicizzazione, ma non si ottenevano risultati brillanti. A rilevare il fallimento e tracciare una riga nera su quel la memoria, singolarmente, so no oggi i più famosi cineasti al l'epoca di sinistra o di estrema sinistra e in prima linea nelle battaglie di quegli anni. Per esempio, Rosi era vicepresidente dell'Anac, la scalpitante Associazione dei Cineasti Italiani, che in un mare di polemiche aveva boicottato la Mostra del Cinema di Venezia del '68. Ma adesso il commento di Rosi su quelle vicende è amaro. Osserva che ci si preoccupò soprattutto «dell'attività politica più che della salvaguardia della professione». Iniziò così una strada in discesa per il nostro cinema perché in un momento fondamentale in cui si sarebbe dovuta prendere l'iniziativa per la diffusione delle nostre pellicole all'estero, non si fece nulla in nome di ideali estremistici. E ancora oggi se ne pagano le conseguenze. Ancor più drastico di Rosi è uno dei numi tutelari del biennio «rosso» C68-'69) Marco Bellocchio, marxista-leninista doc, adorato dai più giovani per I pugni in tasca e per La Cina è vicina in cui puntava il dito accusatore contro la società borghese. «Fu un'esperienza negativa ricorda Bellocchio -. Il mio impegno politico fu un errore perché sottovalutavo enormemente le mie capacità. Mi misi al servizio dei marxisti-leninisti annullando la mia persona¬ lità. Combattevo negando la mia fantasia, le mie possibilità. Bisogna obbedire quasi ciecamente e certi principi politici e teorici non si potevano mettere in discussione. C'era una dimensione fideistica e io, senza crederci realmente, vedevo in quel tipo di politica, di contatto con il popolo, una possibile risposta alla mia profonda insoddisfazione d'intellettuale borghese». Se per Bellocchio la libertà sessuale fu l'unica conquista di quei così duri ed esigenti anni, anche per Gianni Amelio (che nel '70, girerà il suo primo film da regista) il bottino dei «rossi» tormenti del '69 fu un bel disa- stro: lui stesso, buttatosi a capofitto nel lavoro, abbandonerà un'attività che gli piaceva e lo gratificava come la regìa di Caroselli e di spot pubblicitari spinto da un dissennato moralismo. Anche lo sguardo retrospettivo di Ugo Gregoretti - nel '68 fu presidente dell'Anac e nel gruppo dei contestatori della Mostra di Venezia - non è generoso. Gregoretti parla di «velleitarismo sconfinato» e di un ben magro risultato dal punto di vista cinematografico. Molto esplicito e senza veli Nanni Moretti, anche lui giovane di sinistra impegnato politicamente che, in numerose interviste, ha ripetutamente manifestato nei confronti di «quei movimenti giovanili dell'estrema sinistra... che vivevano tutto come scontro ideologico» un sovrano disprezzo. Né Moretti ha mai lesinato le parole durissime verso i terroristi: «Erano degli assassini e i loro comunicati erano un cumulo di scemenze. Il loro maggior crimine è stato quello di aver ucciso tante persone. Inoltre, dal punto di vista politico, le loro posizioni erano assolutamente cretine». Unico che si è lasciato catturare dal fascino dell'amarcord è Bernardo Bertolucci, cineasta per nulla pentito delle sue esperienze. Anzi propenso all'assoluzione. Il regista riconosce che alcune sue opere come Partner del '68 possono risultare un po' «datate», ma afferma che «l'essere datato non è sempre qualcosa di brutto: in un film può essere anche una grande qualità, e indicare un forte rapporto con il presente». Il revisionismo, dunque, arriva al cinema e sottopone al dubbio e al «pentimento» anche le colonne portanti della sinistra di celluloide. Mirella Serri Rosi: «In nome di ideali estremistici non si fece nulla per salvaguardare la professione. Cominciò la discesa del cinetna italiano». Gregoretti: «Cera un velleitarismo sconfinato». Bellocchio: «La mia attività politica? Un errore» L'unico indulgente verso gli entusiasmi di allora è Bernardo Bertolucci: «I miei film sono forse datati ma non brutti» A sinistra la strage di piazza Fontana, l'evento che segnò il 1969. Qui accanto Marco Bellocchio, a destra Francesco Rosi. Sotto una scena dal film «Uomini contro». In basso Gianni Amelio

Luoghi citati: Cina, Italia, Venezia