Nella trappola della GELOSIA

Nella trappola della GELOSIA BIBLIOTECA 01 BORDO. L'autore di «Follia» fotografa il mostro che ci avvelena l'anima Nella trappola della GELOSIA AL suo ritorno, la donna che era stata in Francia sembrava un'altra. Il suo famoso pallore, che un tempo tutti trovavano irresistibile, ora le dava un'aria malaticciaDoveva esserle successo qualcosa di sconvolgente, da cui era uscita a pezzi, tanto che adesso sembrava vivere, o meglio non vivere, in una specie di esuio. Era seduta in un bar di New York, a notte fonda, con un vecchio amico. Gli stava raccontando l'estate dei suoi vent'annipassata su un marciapiede dell'East Village, una notte dopo l'altra, a fissare le finestre del quarto piano, dove abitava il suo amanteNon riusciva a togliersi dalla testa che lui fosse là dentro con un'altraEra persino arrivata a pedinarlo in giro per il quartiere. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di dare un volto a quella donna. Ma non c'era mai riuscita. Poi, a distanza di anni, c'era stato un altro episodio, che risaliva all'ultima fase di una lunga e complicata relazione con un uomo molto più anziano di lei. Quando all'improvviso, o quasi, la donna aveva colto la crescente freddezza di lui, si era umiliata al punto da rovistare nel suo armadio in cerca di «prove» chnon era neppure sicura di voler trovare. E ricordava la stranissimsensazione di essere dominata dqualcosa cui non era in grado di resistere. Era stato come se una creatura aliena fosse emersa dal profondo delle sue cellule trasformandola in un essere grottesco. Stentava a riconoscersi in ciò che facevaQuella stessa donna, un anno prima, aveva sposato senza pensarcun attimo un regista francese conosciuto da poco, e se ne era andatda New York per vivere con lui. Lloro era stata una storia d'amore tinte forti, che aveva relegato tuttil resto - il lavoro, le amicizie, Manhattan - in secondo piano. A quantdiceva, non si era mai sentita cosnuda, così totalmente indifesa davanti a un uomo. Così felice, anchecosì pazza di felicità. Lui aveva un appartamentino piuttosto scalcinato a Montmartre. Dopo averne visto le foto, la donna aveva detto tutti che intendeva andarci a vivere. Era sicura che lì la loro luna dmiele sarebbe durata per sempre. I suoi amici, naturalmente, serano preoccupati. A Parigi non conosceva nessuno, e in questo sensle sue abitudini - essendo una pittrice, viveva molto sola, e soprattutto di notte - non l'avrebbero aiutata. Le loro preoccupazioni aumentarono quando, poco dopo l'arrivo della donna in Francia, u marito la lasciò per andare a girare ufilm m Nordafrica, dove sarebbe rimasto sei settimane. All'inizio lei lprese piuttosto bene: gli telefonavappena possibile, e tutto sembravfilare liscio. Ma dopo un paio di settimane la donna si rese conto cheoltre al desiderio struggente di ri vedere suo marito, cominciava a nutrire sentimenti diversi, e decisamente meno amorevoli. In particolare, non riusciva a fare a meno di chiedersi se in quello stesso momento lui non stesse vivendo una di quelle avventure da set che spesso si era divertito a raccontarle, e che in genere cominciavano e finivano con le riprese. Ripensando alla loro breve relazione, si rese conto che di quell'uomo, in realtà, non sapeva quasi nulla. Provò a contare quante notti avevano passato insieme, senza arrivare a cinquanta. Si erano raccontati le loro precedenti storie d'amore, e facendolo avevano finito per parlare della fedeltà, che entrambi ritenevano fondamentale. Ma era poi vero? E fino a che punto poteva fidarsi di lui? Improvvisamente non riusciva a non vederlo con quella sconosciuta, legato a lei dalla complicità amorale e senza scrupoli dei cinematografari, gente che sa stare al gioco, e soprattutto sa che il gioco non ha nulla a che vedere con la vita e coi rapporti veri, a cui subito dopo si può tranquillamente tornare. Tanto quello che è successo non ha la minima importanza. Adesso i sintomi della malattia erano più evidenti, e fisici. Fluidi caldi nella regione cardiaca, violente fitte nell'area pelvica in corrispondenza di certi pensieri che la coglievano di sorpresa. Poi fu la volta dell'insonnia e dell'inappetenza, e la donna ricominciò a fumare. Era sola a Parigi, mentre lui questo lo sapeva per certo - aveva intorno a sé vecchi amici che gli strizzavano l'occhio, una cricca di cospiratori tanto più temibili quanto più smaliziati. [...] Quando lui chiamava gli faceva domande in apparenza innocenti, che in un secondo momento sottoponeva a un'analisi serrata. Voleva coglierlo in fallo. E aveva bisogno di prove. Per un po' si chiese se non fosse il caso di volare fino ad Algeri bussando senza preavviso alla sua stanza d'albergo nel cuore della notte. Ma poi, com'è ovvio, l'idea la spaventò, e finì per lasciar perdere, cercando piuttosto di concentrarsi sui momenti che avevano vissuto insieme - i giorni di New York, passati senza mai mettere il naso fuori dalla soffitta, senza mai neppure rivestirsi, tutt'al più, quando faceva buio, arrampicandosi sul tetto con un paio di bottiglie - e quei ricordi le restituirono un po' di speranza. Adesso si vergognava di aver pensato quelle cose orrende di lui, ma ormai era intrappolata in una spirale di sfiducia, incertezza, e disgusto di sé che la trascinava sempre più in basso. Cominciò a capire di avere avvelenato il loro matrimonio prima ancora che cominciasse. Ed è qui che vediamo affiorare la prima spira del mostre - il primo, crudele circolo vizioso della gelosia, quello che ci porta, accusando gli altri, ad accusare noi stessi. A poco a poco sporchiamo quell'amo- re che abbiamo messo al centro della nostra vita. E se anche ci rendiamo conto di quello che stiamo facendo, non riusciamo a scacciare quei pensieri, o quantomeno a vederli per ciò che sono - pure, abiette distorsioni. Possiamo provarci, ma non ci riusciamo. Una volta pensati, quei pensieri vivono di vita propria. Rimangono dove sono, e cominciano a scavarsi una strada. Lo stadio successivo fu rivelare a suo marito i pensieri indegni che l'avevano tormentata. E fu l'inizio della fine. Ma che bisogno c'era di farlo? Perché non riusciamo a tenerci quella robaccia per noi? Semplice, perché l'amante geloso non tollera di non sapere: deve sapere, e per questo pretende giuramenti di fedeltà o, peggio ancora, confessioni. Di solito chi subisce l'interrogatorio casca dalle nuvole, non riesce a prenderci sul serio, e per un attimo il mostro, con una smorfia, sembra placarsi - ma solo per un attimo. Quasi subito, infatti, lo sentiamo ritornare, sussurrando «E' una finta! Non farti prendere in giro». La vanità è un aspetto fondamentale della gelosia. Abbiamo una paura tremenda di fare la figura dei fessi, di essere gli unici a non sapere di essere stati traditi. Ed ecco l'ennesimo, atroce paradosso della gelosia: non possiamo mai essere sicuri che l'altro sia davvero innocente, perché qualsiasi negazione non fa che rafforzare i nostri sospetti. Eh sì, il nostro solo desiderio è smettere di soffrire, e l'unico modo per riuscirci è sentirsi dire d'accordo, è vero, è andata come dici tu. Se riesco a strappargli questo, pensiamo, il peggio sarà passato. Ma, com'è ovvio, le cose non vanno affatto così. Le ammissioni, tutt'al più, trasformano la pena di un'incertezza intollerabile in quella di un'intollerabile conferma: e da qui in poi il nostro destino - il nostro infausto destino - appare segnato. Infatti, come la donna che era stata a Parigi avrebbe scoperto a sue spese, il peggio doveva ancora venire. E dire «peggio» forse non rende l'idea. Al ritorno suo marito sostenne, piuttosto divertito, di non avere neppure pensato alle donne, se non altro perché non ne aveva avuto il tempo, e lei tentò di ricacciare il sospetto che Parigi fosse, per lui, un rutilante universo affollato di amiche, colleghe ed ex amanti. Tuttavia non le riuscì, e al terzo, quarto o quinto assalto lui cominciò a perdere la pazienza. Se mettiamo in croce il nostro amante, se gli facciamo il terzo grado, se gli diamo continue prove di non fidarci di lui, i contorni della nostra relazione cominciano inevitabilmente a cambiare. La donna era certa di sapere come suo marito si fosse procurato tutti quei lividi, che lei aveva notato subito: nel corso di qualche pratica sensuale poco ortodossa. E così si mise a fissarlo nel sonno, arrivando a ricostruire la scena: ora capiva, quello era il se¬ gno di un piede, quell'altro di un ginocchio, e a poco a poco, facendo assumere ai due corpi pose sempre più barocche, trovò una configurazione che spiegava tutto. Ma cosa avrebbe voluto sentirsi dire, da lui? Non lo sapeva. Quello che sapeva era che, nelle risposte di suo marito, l'affettuosa ironia di prima aveva lasciato il posto al fastidio, e anche alla rabbia. Adesso che gli aveva lasciato intravedere la trama lurida e deprimente dei suoi pensieri, non era più sola a disprezzarsi. [...] La gelosia impoverisce. Sminuisce, appiattisce, svuota, e cresce nel buio. Alla lunga, se non viene arginata - o, in certi casi, curata provoca mi inevitabile slittamento della personalità. Prima o poi, la gelosia arriva a dominare tutti i sentimenti, riducendone la complessità a mia fissazione monomaniacale per l'altro. Abbiamo talmente paura di venire traditi da una persona cui abbiamo dato tutto noi stessi che il solo sospetto basta a scatenare il caos spirituale. Contro quel caos, che deriva da una delusione profonda e toghe senso a tutto il resto, ci battiamo con tutta la forza che abbiamo. Ormai ci siamo dentro fino al collo. Siamo molto vicini alla vera e propria patologia, e non a caso in questa fase entrano in gioco vistosi fraintendimenti della realtà. La gelosia è il narratore meno affidabile che esista. Le storie che racconta non stanno in piedi. La gelosia morbosa - che è una psicopatologia riconosciuta, e in particolare una psicosi paranoide - presenta sintomi che sarebbero assurdi o addirittura ridicoli, se così spesso non sfociassero in tragedia. Si tratta di una malattia mentale strana, persino affascinante, ma spaventosamente triste. Il mondo di chi ne soffre rigurgita di significati: nessun suo frammento ne è privo. La macchia che vediamo sul tappeto è il seme del nostro rivale; la scarica dello sciacquone, un segnale per lo sconosciuto che aspetta in strada; lo strano sapore che sentiamo in un piatto, la prova che ci stanno avvelenando. E che nella gelosia morbosa le fantasie di tradimento si accompagnino alla fissazione di essere avvelenati non deve sorprendere. Già, perché la gelosia è tossica. La gelosia, in effetti, ci avvelena. Solo che a secernere il veleno è una ghiandola molto particolare: la nostra psiche. Adesso il matrimonio era davvero in pericolo. Mesi e mesi di accuse sempre più deliranti e di continui giuramenti di fedeltà avevano condotto la situazione vicino al punto di non ritorno. Suo marito si stava sempre più allontanando da lei. Come non bastasse, la donna aveva smesso di lavorare, il che era molto grave in una relazione che in qualche modo ruotava intorno al lavoro. Adesso la donna passava le ore di buio vagando per l'appartamen- to con una sigaretta in bocca, oppure seduta al tavolo di cucina a scribacchiare lunghe lettere a lui, che dopo un po' aveva comunque smesso di leggerle. Molto semplicemente, suo marito non intendeva discutere all'infinito della loro situazione, ripetendo sempre le medesime cose; e così, a poco a poco, cominciò a ritrarsi. Questa è la beffa più crudele che il mostro gioca agli amanti gelosi, portandoli a creare le condizioni che col tempo rendono sempre più probabile, e alla fine necessario, proprio ciò da cui erano più terrorizzati: l'abbandono. Ci stiamo avvicinando alla crisi, e la donna dovrebbe lottare con tutta se stessa per evitarla. Per affrontare il problema le servirebbero cautela, distacco e soprattutto realismo, ma com'è ovvio tutte queste risorse sono da tempo esaurite. Rimpicciolita, emotivamente svuotata, perseguitata dalle sue idee fisse, stravolta dal dolore e dal desiderio di vendetta, può solo far deflagrare la sua impotenza. E allora ecco la crisi. L'esplosione. La goccia che fa traboccare il vaso della tolleranza, troppo a lungo messa alla prova, dell'amante. E' una situazione che può condurre a terrificanti esplosioni di violenza, persino all'omicidio - e, più spesso di quanto si creda, all'omicidio-suicidio. Nella maggior parte dei casi si arriva tuttavia a una lite selvaggia quanto inutile, al termine della quale la vittima, prostrata, decide che la misura è colma, e che è necessaria una separazione. E questo fu precisamente ciò che accadde. Era tarda notte, la donna aveva bevuto, e benché suo marito all'inizio fosse tranquillo, vedendola spaccare i primi piatti - dopo aver fatto a pezzi le lenzuola con un coltello da cucina - perse il controllo e la schiaffeggiò, anche piuttosto forte. Lei corse in bagno, e nello specchio vide un volto devastato dalle lacrime, dall'alcol e dal dolore. Qualche minuto dopo sentì sbattere la porta d'ingresso. Adesso era davvero sola. Lui l'aveva lasciata. Solo in quel momento capì in fondo cos'aveva fatto. Aveva dato corpo ai suoi deliri più cupi, a quelle ansie da cui erano nati i primi pensieri indegni: in sostanza, aveva ucciso ciò che amava. E allora il fantasma che abitava i suoi incubi - quell'altra donna immaginaria, in tutto e per tutto migliore di lei - uscì allo scoperto, in carne ed ossa, per prendere il suo posto. Questo è l'ultimo stadio. Il cerchio si chiude, la profezia si compie, e ci rendiamo conto che tutti quei confusi e dissennati tentativi di mettere a tacere le nostre peggiori paure hanno finito per realizzarle. Pagarono il conto, uscirono dal bar, e per un po' camminarono in silenzio. Poi l'amico, improvvisamente, le chiese: e se fosse stata un uomo, cosa sarebbe successo? Qui la donna si lasciò sfuggire un grido. Non riesco neppure a pensarci, disse. Vedo solo sangue. E orrore. Ogni cosa ha la sua ombra, e la gelosia è l'ombra dell'amore E' l'inversione dell'amore, il suo volto oscuro, l'ombra gettata dalla più perfetta delle creazioni umane. Per uno di quei paradossi di cui la gelosia è intessuta, è l'amore stesso - quell'esperienza intensa, fìsica in cui l'io si annulla - a creare le condizioni che consentono alla gelosia di prender piede e propagarsi. Guardiamo allora per un'ultima volta l'amante gelosa, sola al centro del palco mentre si accendono le luci, finalmente certa di essere tradita. Sì, perché adesso lui è davvero fra le braccia di un'altra. Ed è stata lei a gettarcelo. Patrick McGrath Adesso i sintomi della malattia erano più evidenti, fisici. Fluidi caldi nella regione cardiaca, violente fitte nell'area pelvica. E' un sentimento che impoverisce. Sminuisce, appiattisce, svuota, cresce nel buio ia Patrick McGrath, autore del bestseller mondiale Follia (tradotto quest'anno da Adelphi), è cresciuto in Inghilterrae vive tra Londra e New York. Ha pubblicato finora una raccolta di racconti (Mood and Water, 1988) e quattro romanzi: oltre a Follia (uscito in inglese nel 1996 con il titolo Asy/um), The Grotesque ( 1989), Spider ( 1990) e Dr Haggard's Discase ( 1993). Il racconto che presentiamo qui, nella traduzione di Matteo Codignola, è uscito per la prima volta sul New Yorker nel 1997 ed è inedito per l'Italia. Rispetto alla situazione rappresentata in Follia, si può considerare un supplemento d'indagine in cui McGrath riprende a esplorare, da un'angolazione nuova, quella regione brumosa e ammaliante dove il sentimento amoroso confina con la patologia, e quest'ultima diventa, impercettibilmente, costruzione narrativa. A fianco «The Star Beast» (1950), disegno di Paul Anderson, In basso Patrick McGrath

Persone citate: Matteo Codignola, Patrick Mcgrath, Paul Anderson, Semplice, Water