La privacy del battesimo di Giorgio Calcagno
La privacy del battesimo Chiede alla Chiesa di essere cancellato dal registro, il parroco rifiuta La privacy del battesimo SIGNORI della Chiesa, cancellate il mio atto di battesimo. Perché c'è stato qualche sbaglio nella registrazione? No, perché lo chiede la legge sulla privacy. Quei dati personali, che da qualche mese imbarazzano banche, aziende, enti pubblici, tutti lì a mandarci lettere per tranquillizzarci, rischiano di mettere in difficoltà le sacrestie. Appellandosi alla legge 31 dicembre 1996 per la tutela della riservatezza, un giovane di Leinì (si può dire il nome? forse è meglio tenerlo riservato, non si sa mai) scrive al parroco del paese chiedendo di essere tolto dall'elenco dei battezzati. La sua lettera (si può dire? la legge non si pronuncia) non è esattamente un modello di sintassi, ma lascia capire quello che vuole, fin dalle prime righe, quasi parodia del gergo burocratico: «Oggetto: richiesta di cancellazione dall'Associazione Chiesa Cattolica Italiana». Il rappresentante dell'Associazione Chiesa gli risponde, in animo conciliante,, che «sul suo atto di battesimo è stata fatta l'annotazione da lei richiesta». Ma aggiunge, come chiede il suo ruolo, che la Chiesa «per statuto ricevuto dal suo fondatore, non può dimenticare i non credenti». E non può cancellare nulla. Il registro dei battesimi non è una macchinazione dei preti, per controllare le opinioni dei battezzati. E', storicamente, la prima anagrafe della nostra società. Nasce in modo non sistematico nel Medio Evo, diventa impegno della Chiesa con il Concilio di Trento, che nel 1563 impone a tutti i parroci l'obbligo di tenerlo. Ha sopperito, per secoli, alle funzioni dello stato civile, che nessuno, nei governi, aveva pensato a inventare. Su quei registri lavorano ancora oggi gli storici, grati quando possono trovarli. Per fortuna (si può dire? civilmente, si deve) nel 1563 nessuno invocava la legge sulla privacy. Giorgio Calcagno
Luoghi citati: Trento
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