«lo Stato pagava i mediatori»
«lo Stato pagava i mediatori» Idel governo stra «lo Stato pagava i mediatori» l 'ex ministro Scotti: ma non i riscatti LROMA E parole dell'ex mmistro dell'Interno Vincenzo Scotti sono chiare. «Quando ero ministro utilizzammo i fondi riservati per risolvere i sequestri Ghidini e De Megni», ha ricordato in un'intervista rilasciata al quotidiano «L'Unità». Scotti ha poi precisato che «la formula era che i soldi servivano per pagare i mediatori e non il riscatto. Ma, è vero, il confine tra le due cose è molto incerto». Non ha, invece, fornito rivelazioni utili l'ex ministro a proposito di un'altra discussa liberazione, quella del piccolo Farouk Kassam: «Ero già andato via dal Viminale», si è giustificato. Scotti ha chiarito le circostanze all'interno delle quali si lavora per la liberazione di un rapito, compreso il giudice Lombardini: «Chi si occupa di sequestri è sempre costretto a muoversi su un terreno difficile». In altre parole: «Chi opera in trincea, alcune volte è costretto a muoversi sul filo della legalità». «Io - ha precisato l'ex ministro - non ho visto nessuna indagine muoversi con sicurezza al di qual di una linea. Si era sempre sul crinale. Era necessario, se si volevano i risultati». Diverso il ruolo dei servizi segreti che «si occupavano di sequestri, raccoglievano informazioni» e a volte esageravano: «Spesso può nascere il malcelato orgoglio di corpo di andare oltre per raggiungere obiettivi che non sono assolutamente di competenza dei servizi segreti». Questo è, dunque, lo Stato di fronte ai sequestri, secondo la ricostruzione dell'ex ministro Scotti. Immediata, è giunta la risposta del fronte opposto, quello dei sequestrati. «Per mio figlio lo Stato non pagò alcun riscatto», ha affermato Dino De Megni, padre di Augusto, il bimbo di 11 anni rapito a Perugia il 3 ottobre 1990 da una banda di sardi. Le modalità del blitz dei Nocs che portarono alla liberazione del bimbo dopo 112 giorni di prigionia in una grotta dei boschi di Volterra, dimostrano, secondo Dino De Megni «in modo eloquente», e senza «lasciare alcun dubbio» che non ci fu pagamento di riscatto. Anche perché ha aggiunto - i rapitori «sono stati praticamente tutti individuati, processati e condannati». «Non posso invece escludere - ha proseguito De Megni - che ci sia stata una qualche elargizione di organi dello Stato per acquisire informazioni utili alla soluzione del caso. Io so, perché mi è stato detto, che qualcuno all'epoca ha collaborato, ma non mi è mai stato rivelato il nome, né io l'ho mai chiesto. Io poi non so se questa persona abbia cantato per denaro, o perché gli era stato garantito uno sconto sulla pena». In realtà per la liberazione del piccolo De Megni nessuno pagò un riscatto, secondo quanto ha ricordato il padre del bambino. «Quello di mio figlio fu i! primo sequestro per il quale fu applicata la nuova legge che prevedeva il blocco del patrimonio della famiglia per impedire il pagamento del riscatto. Ci sentivamo un po' vittima dei rapitori e un po' vittima dello Stato. Fu anche per questo che, a liberazione avvenuta, l'allora ministro dell'Interno Vincenzo Scotti mi chiamò sul mio cellulare. Poi lo incontrai una volta di persona. Sono gli unici due contatti che ho mai avuto con lui». [r. r.)
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