Clinton non cancella l'incubo Sexgate
Clinton non cancella l'incubo Sexgate L'umore della gente potrebbe rapidamente cambiare, e al Congresso Clinton non cancella l'incubo Sexgate Primi sondaggi favorevoli, ma la vicenda non è chiusa WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «E' arrivato il momento di andare avanti e di voltare le spalle allo spettacolo di questi ultimi sette mesi», ha detto il Presidente Clinton nella sua umiliante confessione agli americani. Ma ventiquattr'ore dopo, la sua presidenza appare ancora impantanata nei miasmi dell'affaire Lewinsky. Ieri pomeriggio il Presidente, accompagnato da Hillary e da Chelsea, è partito per Martha's Vineyard. Lo aspetta una vacanza difficile, durante la quale, per sua stessa ammissione, dovrà lavorare parecchio «per riaggiustare le cose» nei rapporti con sua moglie e sua figlia. L'atmosfera che lascia nella capitale non è certo migliore. Alla Casa Bianca si respira un'aria funerea. Il senso dì umiliazione, di smarrimento tra i suoi collaboratori non si è affatto dissipato. E gli sforzi dispiegati per dare l'impressione che tutto è tornato alla normalità - «oggi il Presidente si è incontrato con il consigliere per la sicurezza nazionale per esaminare la situazione in Africa orientale» - finiscono per accentuare il senso di una situazione decisamente anormale. Le prime reazioni a caldo nel Paese hanno portato - è vero - un po' di conforto al Presidente. Gli americani non appaiono affatto choccati dalla rivelazione che per sette mesi Clinton ha mentito spudoratamente - è proprio il caso di dirlo - sulla sua relazione sessuale con Monica Lewinsky. I primi sondaggi divulgati ieri dalla Cnn indicano che in generale il suo indice di approvazione rimane alto e che solo una piccola minoranza ritiene che le ripetute menzogne debbano portare alla sua messa sotto accusa (impeachment) da parte del Congresso. Gli americani, insomma, sembrano disposti a perdonarlo pur ritenendolo un egregio bugiardo; a fargli completare il suo mandato ma senza più illusioni sulla sua leadership morale. Gli esperti, tuttavia, diffidano molto di queste prime reazioni. I sondaggi potrebbero rapidamente cambiare, avvertono. «Non deve sorprendere il fatto che la gente continui a sostenere il Presidente in questa prima fase, perché è esattamente ciò che avevano promesso di fare se Clinton avesse ammesso la sua relazione», dice Andrew Kohut, direttore del Pew Center, uno dei centri demoscopici più rispettati. «Potremmo benissimo avere un effetto ritardato. E basterebbe poco - un rallentamento dell'economia, per esempio - per capovolgere i sondaggi. La verità è che questi primi rilevamenti sono stati fatti prim'ancora che gli americani abbiano potuto digerire gli eventi». L'orientamento dell'opinione pubblica nelle prossime settimane sarà comunque decisivo per capire come si muoverà il Congresso. Se la popolarità di Clinton rimarrà alta i repubblicani non avranno alcun interesse a trascinare questa vicenda al centro della campagna elettorale in vista delle elezioni di novembre. Ma i repubblicani cominciano a mordere il freno. Ieri il potente senatore dello Utah Orrin Hatch, che guida la commissione Giustizia, ha accusato il Presidente di essere «un pirla». Ed ha ammonito che «questa vicenda è tutt'altro che conclusa». Anche il sostegno dei democratici dopo la prova di lunedì notte sembra decisamente infiacchirsi. Molti gli rimproverano di aver compromesso le chances di riprendere la Camera dei rappresentanti a novembre. E già si sente lo scalpitio di alcuni esponenti democratici di spicco che vogliono prendere le distanze dal Presidente per rilanciare le loro chances nelle presidenziali del Duemila. «Non posso condonare il suo comportamento, sono molto deluso, spero solo che riesca a trovare un po' di pace in famiglia», ha commentato Richard Gephardt, leader dei democratici alla Camera. All'indomani della sua confessione, il Presidente ha tratto zero conforto anche dagli editoriali dei maggiori quotidiani. ((Ancora una volta ha perso un'occasione per riabilitarsi agli occhi dell'opinione pubblica», ha scritto iì New York Times. «Il Presidente non sarà certo rimpianto quando lascerà Washington». E il Los Angeles Times: «Gli americani hanno il diritto di sentirsi delusi». In tutto questo, nella capitale, si continua a parlare di possibile im- peachment - Kenneth Starr consegnerà 0 suo rapporto al Congresso il mese prossimo -, si continua a parlare dimissioni anticipate per portare Al Gore alla Casa Bianca. Dice lo storico Douglas Brinkley, biografo di Presidenti: «Il problema per lui è che ogni libro di testo comincerà con "Era un simpatico libertino che presidiò una amministrazione dilaniata dagli scandali". Solo nel secondo paragrafo si dirà "Riuscì a portare il bilancio in pareggio e governò il Paese in un'era di grande prosperità economica"». Andrea di Robilant Aria funerea alla Casa Bianca dove tutti si sforzano di recitare la normalità Sui giornali toni molto duri Il New York Times «Quando se ne andrà non sarà certo rimpianto» Bill Clinton, «il grande comunicatore», si prepara a fare la sua più impegnativa «dichiarazione al popolo americano», quella in cui ammetterà la relazione con Monica Lewinsky (a sinistra) Il volto contrito, lo sguardo diretto, il Presidente si confessa pubblicamente, così come i concittadini gli avevano chiesto di fare nei sondaggi. E alla fine si mostra mortificato, ma deciso
Luoghi citati: Utah, Washington
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