La rabbia dei collaboratori «Siamo stali ingannati»
La rabbia dei collaboratori «Siamo stali ingannati» La rabbia dei collaboratori «Siamo stali ingannati» WASHINGTON NOSTRO SERVIZIO «Se il Presidente non chiede scusa a tutti, i suoi collaboratori rimarranno a pascolare come tante pecorelle smarrite», sibila Dee Dee Myers, ex portavoce della Casa Bianca e buona conoscitrice degli ambienti della Casa Bianca. Nella sua breve confessione agli americani, Bill Clinton ha parlato con tono contrito del suo desiderio di sanare la ferita profonda che ha inflitto alla sua famiglia, a Hillary e Chelsea. Ma c'è un'altra «famiglia», quella allargata, del suo staff, dei suoi collaboratori, dei membri della sua amministrazione, che ha vissuto anch'essa al suo fianco il tormentone di questi mesi e che adesso, tradita e umiliata, chiede spiegazioni e cerca conforto. ((Appena quattro giorni fa il Presidente mi assicurò che non aveva avuto una relazione con Monica Lewinsky», dice indignato uno dei suoi più stretti collaboratori. Fino all'ultimo la parola d'ordine è stata: difendere il capo a tutti i costi. Ma ora che alla Casa Bianca si cerca di raccogliere i pezzi di questa Presidenza «la delusione è notevole», racconta un'altra fonte. Soprattutto tra i fedelissimi che ogni giorno il Presidente mandava in pasto ai giornalisti, sicuro che avrebbero continuato a negare per lui, ad aggiungere le loro menzogne alle sue. A compromettere la loro credibilità per guadagnare qualche attimo di respiro per il capo. Colpisce la figura di Ann Lewis sessantenne, capelli grigi, l'aspetto da governante. E' la chrettrice del reparto Comunicazioni alla Casa Bianca, ed è stata mandata ripetutamente allo sbaraglio a difendere l'onore del Presidente davanti ai re¬ porter più ringhiosi. «Non voglio parlare di questa storia per un po' di tempo - dice adesso -. Ho bisogno di pensare, riflettere a fondo su certe cose». Per non parlare, poi, del danno economico. Molti collaboratori - pensiamo alla mite segretaria Betty Currie, per esempio - sono stati chiamati a testimoniare davanti a Kenneth Starr in questi mesi, trascinati loro malgrado nella vicenda Lewinsky, e ora si trovano a dover saldare conti salatissimi con i loro avvocati. Certo, i più duri della Casa Bianca, il «brain trust» del Presidente - i James Carville, i Rahm Emmanuel, i Paul Begala - professionisti della politica con un grosso pelo sullo stomaco, continuano a sfoggiare il loro machismo. «Non ho bisogno di scuse», taglia corto Emmanuel, gli occhi cerchiati dalla stanchezza, che la sera prima aveva scritto con Begala le diverse bozze del discorso di Clinton al Paese. Dice Dick Morris, ex consigliere politico di Clinton cacciato dalla Casa Bianca perché chiamava il Presidente al telefono per impressionare le prostitute che frequentava: «Se i collaboratori di Clinton erano così scemi da credere alle frottole che raccontava, allora si meritano il trattamento ricevuto». Ieri il segretario di Stato Madeleine Albright, parlando a Dar es Salaam, ha espresso la sua «piena fiducia» in Clinton. «Sta facendo un ottimo lavoro». Ma chi può dimenti¬ care che proprio lei, lo scorso gennaio, fu la prima a scendere in campo, ad esporsi personalmente in difesa del Presidente, dichiarando alto e forte che «quelle accuse sono assolutamente false»? E rimane la grande incognita di Al Gore, che durante questi penosi sette mesi ha sempre difeso il Presidente, ma che ha scelto di trovarsi alle Hawaii in vacanza con la famiglia nel penoso momento della verità. Il suo sostegno è inalterato, fa sapere attraverso i suoi collaboratori. Ma nessuno davvero crede che anche il rapporto tra questi due uomini - un rapporto cruciale per l'amministrazione e per le prospettive presidenziali di Gore - non sia profondamente cambiato. , [a. d. r.] L'ex portavoce Dee Dee Myers : «deve chiedere scusa a tutto lo staff» Una coppia segue sullo schermo gigante in Times Square a New York il discorso del Presidente. A destra Hillary e Chelsea Clinton
Luoghi citati: Dar, Hawaii, New York, Salaam, Washington
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