«Soldi dei servizi e niente regole»

«Soldi dei servizi e niente regole» LA STRATEGIA DELL'ANONIMA LIBERAZIONE «Soldi dei servizi e niente regole» Così funzionava la squadra di Lombardini E ROMA SISTEVA un «metodo Lombardini» contro le bande di sequestratori, messo a punto in venti anni di lotta all'Anonima tra i Settanta e gli Ottanta. A quel suo metodo, il giudice era rimasto affezionato e continuava a praticarlo anche se tutto nel frattempo era cambiato attorno a lui: il codice di procedura penale, la legge che vieta il pagamento del riscatto, i referenti istituzionali e politici, la sua stessa funzione nella magistratura. «Avrebbe dovuto occuparsi di reati minori, continuava invece a impicciarsi di sequestri», racconta più di un suo amico. Ma come funzionava, il tanto discusso e controverso «metodo»? Per sintetizzare, si può dire che era basato sull'interventismo esasperato del magistrato. Era lui in persona che batteva le montagne con la pistola in mano. Lui che curava, come giudice unico di tutta la Sardegna, le istruttorie. Lui che contrattava con emissari, latitanti, carcerati e avvocati finché non portava a casa il risultato. «I risultati gli davano ragione», dice Enrico Altieri, magistrato di Cassazione, amico di vecchia data di Lombardini. Era il periodo d'oro del giudice istruttore unico, infatti, che incassava successi, arrestava centinaia di banditi, otteneva sonore condanne. La stampa locale lo adorava. E' Lombardini che per primo «introduce» i pentiti in Sardegna. Per convincere qualcuno a collaborare con lo Stato, usa tutti i mezzi e tutte le lusinghe. Se serve, paga anche di tasca sua le scuole a qualche figlio di detenuto. Oppure mette sul tavolo manciate di milioni. Al pentito Luciano Gregoriani, che gli consegna su un piatto d'argento l'Anonima gallurese, fa ottenere una condanna ridotta, soldi, e un passaporto. Il documento, raccontano, lo ebbe direttamente dai servizi segreti. Gregoriani, il giorno prima che il tribunale emettesse la sentenza finale, potè espatriare. Non ha scontato nemmeno la modesta pena che gli restava. Oggi è ufficialmente latitante, forse in Australia, con moglie e sette figli. In quella fase, raccontano ancora, Lombardini poteva contare liberamente sui fondi riservati del ministero dell'Interno. Il capo della polizia Vincenzo Parisi sovvenzionava volentieri quel giudice di prima linea. Probabilmente il Viminale lo aveva aiutato anche prima, quando Coronas era a capo della polizia e Parisi guidava il Sisde. C'era un avallo dei ministri democristiani dell'Interno. L'ultimo fu Vincenzo Scotti, che però ammette «già si capiva che andava fuori dalle righe». Poi l'aria è cambiata. Ultimamente, quando Lombardini ha bussato cassa al Viminale, la ri- sposta è stata negativa. Lui chiedeva cinquecento milioni. Assolutamente no, è Etata la risposta. Non c'è neanche una lira per «comprare» la resa di un latitante. Al posto dello Stato si era poi offerto Niki Grauso. Ed è verosimile che Lombardini, vista l'aria, chiedesse soldi per i «suoi» informatori anche a imprenditori privati. Di qui nascerebbe quel «fondo antisequestri» in cui è incappata oggi la Procura di Palermo. Ma la cosa più irrituale di tutte non sono nemmeno le inchieste parallele di un giudice che non aveva competenza a occuparsene, bensì è il suo intervento nelle mediazioni. Emblematico il caso di Esteranne Ricca, rapita a Grosseto nel dicembre '87, nascosta in Puglia, riscattata in Sardegna, liberata nel giugno '88. Racconta un investigatore che ha lavorato a lungo con Lombardini: «A Firenze c'era un ufficiale dei ca¬ rabinieri a capo del reparto operativo, Vincenzo Rosati. Prima stava a Tempio Pausania. Era un fedelissimo di Lombardini. Rosati si rivolse al giudice e al colonnello Sergio Frau, che comandava i carabinieri di Nuoro e che ora è morto. I tre organizzarono il pagamento del riscatto senza informare i procuratori Vigna e Fleury che erano contrari a pagare. Almeno così dice la versione ufficiale. Rosati per questo intervento è stato radiato dall'Arma. Il fatto è che Lombardini era contrarissimo alla legge sul blocco dei beni. E la aggirava». Ecco, la questione è tutta qui: il giudice-sceriffo aggirava la legge. Il suo «metodo» entrava in rotta di collisione con le norme? Non importa. Lui andava avanti invocando uno stato di necessità e la sua sete di giustizia. Il meccanismo era sempre lo stesso: primo, liberazione del sequestra¬ to; secondo, individuazione di un pentito; terzo, arresto dei colpevoli. Si racconta, nell'ambiente degli avvocati cagliaritani, un episodio tragicomico che riguarda Lombardini. Una notte di circa quindici anni fa, si presenta nel carcere di Cagliari assieme al procuratore generale Giuseppe Villasanta, un anziano magistrato con i capelli bianchi, somigliantissimo a un certo avvocato. I due, come il gatto e la volpe, fanno svegliare un detenuto. Villasanta finge di essere l'avvocato difensore e parla poco. Lombardini fa le domande. Il carcerato non capisce più niente e racconta tante cose. Quando il vero avvocato difensore lo scopre, fa il diavolo a quattro. Ma intanto Lombardini ha saputo quello che le interessa. E procede oltre. Alla fine era stato accantonato, Lombardini. Ma nonostante tutto perseverava nel suo attivismo «parallelo» e semiclandestino. Racconta un episodio significativo il senatore Alessandro Pardini, Ds, che guida il gruppo di studio sui sequestri dell'Antimafia: «Ai primi di giugno, Lombardini mi telefonò. Avevamo fatto un giro di audizioni in Sardegna, ma lui non lo avevamo sentito. Non nascondo che il suo nome era venuto fuori sia per vecchi sequestri, che per quelli nuovi. Mi telefonò, dunque, e mi chiese un appuntamento. Voleva illustrarmi, mi disse, un progetto di banca dati informatica antisequestri. Nessun problema, gli risposi, basta che lei mandi un fax alle segreteria e la inseriamo nel prossimo giro di audizioni. "No, nessuna audizione pubblica. Solo un colloquio privato tra me e lei". La cosa non mi piacque affatto. Dissi di no. Non si fece più vivo». Francesco Grignetti li A sinistra: il giudice Luigi Lombardini. Accanto: Esteranne Ricca, il giorno della liberazione, nel giugno di dieci anni fa. Per la sua scarcerazione intervenne il magistrato sardo, scontrandosi con il blocco dei beni disposto dai magistrati fiorentini Vi£na e Fleury