Tramaglia (An): battute quelle di Tonino
Tramaglia (An): battute quelle di Tonino Tramaglia (An): battute quelle di Tonino «Anche gli italiani dovevano pagare ma nel mondo han saputo farsi onore» ROMA. Si definisce «un politico sui generis» per quell'abitudine, «poco politica», di dire sempre quello che pensa. Mirko Tremaglia (Commissione Esteri alla Camera per An) commenta l'intervista a Di Pietro, pubblicata ieri sul «Corriere della Sera», con una frase che riassume il suo pensiero: «Un Paese civile dev'essere capar ce di accogliere i profughi». Entriamo nel dettaglio, onorevole Tremaglia. «Ci sono emergenze che l'Italia, come altri Paesi del resto, non può affrontare da sola. Le coste delle quali si parla non sono soltanto italiane, ma anche europee. Dall'Europa il problema va affrontato e risolto». Di Pietro sarebbe per la soluzione blitz: una nave militare e via, a «riscodellare» i clandestini sulle coste marocchine o tunisine. Dice che dal Nord Africa non li prenderebbero a cannonate... «Non mi chieda di commentare quelle che ritengo siano solo delle battute. Cose al di fuori della realtà. Reale, invece, è la crisi del Mediterraneo. Ma non è badando soltanto all'emergenza che si può risolvere». Che fare, allora? «L'argomento riguarda tutti. Nel 1995, a Bucarest, presentai un piano trentennale di investimenti per dare lavoro a venti milioni di africani del Nord: un piano che ri- cevette l'approvazione di 127 Paesi». Che ne è stato? «Non è mai passato alla fase operativa. Quando si parla di progetti di questo genere, ci si trova sempre davanti a splendide prese di posizione, ma poi non si arriva mai al dunque. Proprio come accadde a Copenaghen, alla conferenza sui Paesi poveri: tutti riconobbero che lasciare sola quella parte del mondo era come destinarla a diventare preda del terrorismo e del fondamentalismo. Insomma, una minaccia per la pace. Ricordo che, in quell'occasione, l'allora presidente Mitterrand ebbe a dire: "Speriamo che questa non sia soltanto una passerella di buone intenzioni"». Di Pietro dice che gli italiani non emigravano da clandestini, ma come manodopera richiesta. Lei è appena tornato da Buenos Aires, dove ha incontrato il presidente Menem. In Argentina e in Uruguay c'è andato per saperne di più sugli italiani all'estero. Ha ragione Di Pietro? «In un secolo della nostra storia non è sempre andata così. Gli italiani che cercavano fortuna in America, spesso, dovevano pagare profumatamente chi li faceva sbarcare. E in molti ristoranti della Svizzera c'era il cartello: vietato l'ingresso ai cani e agli italiani. Ogni tanto faccio un pellegrinaggio a Marcinelle, in Belgio, dove nel '56 morirono oltre cento Italiani hi un disastro minerario. Lavoravano in condizioni bestiali. Nel mondo ci sono 58 milioni di cittadini di origine italiana: si sono fatti onore, si sono fatti valere. Ma c'è voluto tempo». L'ex magistrato sostiene che l'Italia dovrebbe comunicare il numero di lavoratori dei quali ha bisogno e poi accogliere soltanto quelli. «E' un discorso che non si può fare in un Paese che ha milioni di disoccupati». Con le sue dichiarazioni, il senatore Di Pietro sembra più vicino alle posizioni del Polo che a quelle dell'Ulivo. Ve lo siete lasciato scappare, non crede? «Non lo dica a me... Del resto, c'era incompatibilità con Berlusconi», [d. dan.] L'esponente di Alleanza nazionale Mirko Tremaglia
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