Franceschini (Ppi) no alle semplificaitoni

Franceschini (Ppi) no alle semplificaitoni Franceschini (Ppi) no alle semplificaitoni «L'expm sbaglia: l'emergenza è europea I Paesi devono affrontarla insieme» HA letto con molta attenzione l'intervista al senatore Di Pietro. E ha storto il naso. Il vicesegretario del Ppi, Dario Franceschini, replica alle critiche deu'«alleato» e alle, neppure tanto velate, minacce di una prova di forza in vista del confronto europeo. Per Di Pietro, la legge sugli immigrati non è soddisfacente. «Era la legge possibile adesso. Che poi, in fase di applicazione, possano venire fuori dei problemi è normale». Il senatore suggerisce di essere più duri nei rimpatri: 24,48 ore, al massimo, per rispedire gli "indesiderati" al mittente. Lei che ne pensa? «La politica internazionale, con il permesso di Di Pietro, è un po' più complessa. Che siano gli immigrati a dover pagare, poi, il fatto che Craxi se ne resti in Tunisia, mi sembra semplicemente assurdo. Parliamo di emergenza, ma è sbagliato che ogni Paese, ancora oggi, debba farsi una legge propria per affrontarla». Europa, Europa? «Ma certo. Si deve, per forza di cose, arrivare a una normativa unica europea. Queste persone, tra l'altro, il più delle volte non sanno neppure di essere giunte in Italia. Per alzare il prezzo del pedaggio, quelli che le trasportano raccontano loro bugie e sono in molti a credere di essere altrove, più lontano. Inoltre l'Europa deve aiutare chi ha i confini più esposti». E' giusto, dunque, regolare i flussi migratori? «Sì, ma non vorrei essere frainteso. E' giusto limitare gli arrivi, ma soprattutto dobbiamo incominciare a favorire una cultura multietnica e per far questo dovremmo anche smetterla di parlare di extracomunitari: sono Nigeriani, Algerini, Tunisini, Marocchini... storie diverse, culture diverse, realtà diverse. La Francia, per esempio, è molto più avanti di noi nella creazione di una società multietnica». Forse, perché ha incominciato a plasmarla prima di noi? «Sì, naturalmente. Il processo ha bisogno di tempo, ma se non si comincia mai...». Di Pietro suggerisce di accogliere soltanto quegli stra¬ nieri per i quali l'Italia sia in grado di fornire un buon posto di lavoro. «Non si può più ragionare in questi termini, l'immigrazione non è come quella di una volta. Ora i posti di lavoro bisogna crearli. E anche questo è un problema europeo». Onorevole Franceschini, non le pare che il «quadro» Di Pietro starebbe meglio nella cornice del Polo? «Per le divergenze di opinione? Ma no. Del resto, questa è l'anima dell'Ulivo: la sede in cui si possono confrontare e convivono posizioni anche molto diverse tra di loro». Però, a un certo punto, l'ex poliziotto ed ex pm, potrebbe anche diventare «ex ulivista». Lo dice lui stesso: se non riesce a lavorare con gli alleati, se ne andrà. «Se minaccia di fare una lista sua, si accomodi. Ma sappia che vivono i partiti che hanno una tradizione, un retroterra culturale alle spalle. Quelli fondati sul nome di una persona, hanno breve durata. Noi del ppi, in ogni caso, non siamo sensibili agli ultimatum». Di Pietro ha anche detto che non è disponibile a coagulare consenso attorno a sé per offrirlo «al notabile di turno», «Bene. Ma nessuno gliel'ha chiesto», [d. dan.] Dario Franceschini vicesegretario del Partito popolare

Luoghi citati: Europa, Francia, Italia, Tunisia