Meno export dall'Italia di Ugo Bertone

Meno export dall'Italia Meno export dall'Italia Casoni: ma la mia vodka non teme crisi MILANO. «Pentito? Deluso, piuttosto. Sapevo che la situazione era difficile. Ma io, come tanti altri, confidavamo che il governo fosse in grado di mettere sotto controllo l'economia. Eltsin era stato molto convincente a gennaio quando, a Roma, si era incontrato con gli imprenditori. E invece non è andata così...». Mario Casoni da Finale Emilia, imprenditore nel ramo alcolici, presidente dei piccoli industriali, è uno dei coraggiosi che hanno scommesso sulla Russia post-sovietica. Da pochi mesi, dopo un lungo rodaggio, e non poche complicazioni, è a pieno regime un suo impianto in Siberia, a metà strada tra Vladivostok e Novosibirsk. Qui, oltre ai liquori italiani, dalla fabbrica «Emilia» escono 4 milioni di bottiglie di vodka per il mercato locale. E adesso? «Diciamo la verità. Nel mio settore non esistono rischi di calo della domanda... Produrre là, del resto, era una scelta obbligata dopo che Mosca . aveva imposto dazi altissimi sull'import. Perché in Siberia? Il potere d'acquisto è più alto che nella Russia europea, c'è meno pressione della mafia». Che conseguenze avrà per l'industria italiana questo nuovo scivolone? «La Russia, per ora, è più una terra delle promesse che non una realtà commerciale. Però, l'Italia resta il secondo esportatore in assoluto su quel mercato. Ed è evidente che, dopo la caduta del rublo, la domanda si restringerà, soprattutto nel tessile-abbigliamento o nelle calzature. I consumatori dovranno pagare le merci il 30-40% in più, dopo la svalutazione». Era prevedibile una terapia d'urto del genere? «Purtroppo sì. Soros è stato, stavolta, un facile profeta. L'epilogo era scontato, date le premesse: quando la gente non paga le imposte, lo Stato non può finanziarsi che stampando moneta o accendendo nuovi debiti. Alla fine, la svalutazione diventa inevitabile». Ma è la terapia giusta? «Temo di no. La svalutazione può avere dappertutto una funzione di stimolo per l'economia. Ma non in Russia, dove l'apparato industriale non è in grado di raccogliere questi stimoli. Purtroppo resta un Paese di speculatori, non di produttori». La crisi, insomma, non nasce dai malesseri del Far East ma ha ragioni indigene... «E' vero. Certo, la tempesta dell'Estremo Oriente ha contribuito al collasso della Russia. E' ovvio, del resto, che nei momenti di maggior difficoltà a pagare le conseguenze per primo è il soggetto più debole, quello che gode del minor credito finanziario o imprenditoriale. Ma qui la crisi è ben più grave del Far East, dell'Indonesia o della Thailandia o della Corea». Perché tanto pessimismo? «Perché nel Far East si pagherà un prezzo, anche salato, ma alla fine l'apparato industriale asiatico ripartirà». In Russia invece... «In Russia, invece, quel che manca è una mentalità favorevole all'industria. C'è una burocrazia elefantiaca, ci sono enormi problemi ad assicurare l'approvvigionamento delle materie prime per far marciare gli impianti». La malattia, insomma, durerà a lungo. Un altro mercato che si chiude, dopo quelli asiatici... «E' fin troppo facile rispondere di sì. Per nostra fortuna, i dati in arrivo dall'Unione europea restano confortanti. Possiamo puntare su quest'area e sperare che riparta la domanda interna. Ma ci vorrebbe più fiducia. In America si calcola che una discesa della Borsa del 10% si rifletta in una contrazione della domanda pari a un punto del pil. Temo che qualcosa del genere stia capitando anche da noi...». Ugo Bertone Mario Casoni presidente della Piccola industria produce vodka in Siberia

Persone citate: Eltsin, Italia Casoni, Mario Casoni, Soros