ALLO STADIO 0 DAVANTI ALLA TV IL NOSTRO OCCHIO E' UN NAUFRAGO di Marco Belpoliti

ALLO STADIO 0 DAVANTI ALLA TV IL NOSTRO OCCHIO E' UN NAUFRAGO Lì Filli ALLO STADIO 0 DAVANTI ALLA TV IL NOSTRO OCCHIO E' UN NAUFRAGO Gli sviamenti della percezione nella vita quotidiana partire dalla metà degli Anni Ottanta Ruggero Pierantoni pubblicò su Gran Bazar - rivista di architettura aperta a sollecitazioni filosofiche, letterarie e scientifiche - una serie di articoli dedicati alla percezione visiva, agli oggetti, agli spazi della vita quotidiana e all'architettura; con una scrittura in bilico tra letteratura e specialismo scientifico, e sfoderando una buona dose di ironia, Pierantoni ha scritto pagine che colgono nel segno, e non solo rispetto alla cultura architettonica. Il grande vantaggio di Pierantoni, studioso di neuroanatomia (straordinaria è la sua descrizione della sezione di un occhio di mosca che apre L'Occhio e l'idea, libro pubblicato nel 1981) è quello di coniugare insieme arte e scienza, e di trovare, secondo il costume proprio degli scienziati, spiegazioni economiche a differenti fenomeni, senza però abdicare alle possibili interpretazioni simboliche, anzi attribuendo al simbolismo un posto nella propria razionale lettura del mondo; per questo L'occhio e l'idea, opera che lo fece conoscere ai lettori, piacque così tanto a Italo Calvino, che ne scrisse una memorabile recensione e lo utilizzò come spunto per una delle avventure percettive del signor Palomar. In cosa consista il «metodo» di Pierantoni, che potremmo definire micrologico (egli è anche un esperto di microscopia elettronica), la sua particolare adesione a Verità a bassissima definizione, titolo del suo nuovo libro, lo mostra bene il capitolo intitolato La sincronia, dedicato alla architettura degli stadi di calcio. Qui Pierantoni osserva come lo spazio in cui i calciatori corrono avanti e indietro, seguendo un moto caotico e privo di logica in sequenze di movimenti elementari e rozzi che si decompongono e frantumano, si è progressivamente ristretto rispetto a quello dedicato al pubblico. Nei vecchi stadi «l'area centrale era stranamente in equilibrio spaziale e "compositivo" con la corona delle gradinate». A causa delle norme di legge che impongono una rampa continua di 20 gradoni, si hanno sulle stesse pendenze di circa 30 gradi con la conseguenza che le coppe concentriche delle gradinate si allontanano troppo velocemente dal centro del campo di gioco. Confrontando gli stadi calcistici moderni con il Colosseo, cifre alla mano (egli calcola sempre con precisione il rapporto tra l'oggetto osservato e la sua proiezione sulla retina), Pierantoni mostra come la sinoria - il veder assieme - di queste costruzioni, che hanno preso il posto di sfilate e rituali guerreschi (ma nonostante ciò sono ritenute da molti prive di un vera significato architettonico), permette di vedere sino alla distanza di 94 metri «espressioni, parole, gesti, sgambetti, segrete violenze» dei giocatori in campo. La conseguenza è che la «sincronia emotiva», fenomeno irrinunciabile dei gruppi umani, è possibile solo negli anelli inferiori degli stadi; non a caso è da lì che si trasmettono per contagio a quelli superiori. Così, man mano che ci si allontana dal campo da gioco, aumenta invece «la possibilità di percepire bene un moto veloce perché la velocità di spazzamento dell'immagine sulla retina diminuisce fortemente con la distanza dell'oggetto in moto», inoltre, essendo i movimenti dei calciatori di tipo «accelerato» e non «uniforme», è solo sulle gradinate più alte che si colgono le componenti dinamiche e spaziali del gioco del calcio. Gli stadi è come se avessero il cervello in alto e l'addome emotivo in basso; in ogni caso umori, rabbie, frustrazioni, ire, sorprese e anche felicità sono determinati non tanto e non solo dai movimenti caotici dei giocatori in campo, ma essenzialmente «dalla geometria, dai raggi di curvatura, dalle curve di visibilità, da normative di sicurezza, da colori affibbiati alle strutture a vista». Questa vera e propria antropologia percettiva dello spazio calcistico non è una eccezione nel volume; nei capitoli dedicati alla percezione della pioggia [Il mistero della pioggia obliqua), alla differenza tra architetture che riflettono e quelle che diffondono la luce (Riflessione e diffusione in architettura; categoria estetica?), alla architettura degli ospedali (Il paziente perdonato), e in altri ancora, Pierantoni analizza aspetti all'apparezza secondari ricavandone conclusioni generali assai stimolanti e originali. La bravura di Pierantoni, che è scrittore a pieno titolo, consiste nella costante ricerca di spiegazioni semplici, ma di una semplicità altamente tecnica, mettendo in evidenza come gli aspetti percettivi abbiano il loro fondamento nella biologica, e la forma delle cose dipenda dalla fisiologia dei nostri organi visivi. Si legga il capitolo che dà il titolo al volume, dove, dati alla mano e con una scrittura brillante e sarcastica, lo studioso della visione mostra il bluff dell'Alta Definizione televisiva («Quale sarà il mio vantaggio, come uomo, di sapere (più che di vedere) che i pixel che formano la cravatta di un anchorman sono 700 invece di 350?»), oppure quello in cui mostra l'im- possibilità del computer di rappresentare lo spazio tridimensionale. I due protagonisti del libro, protagonisti onnipresenti ma discreti, sono dunque l'occhio e la luce, a cui si affianca la materia con la sua complessa struttura fine, ma anche lo spazio, che è poi il vero «liquido» in cui nuotiamo ogni giorno senza accorgercene. Nel capitolo dedicato alla sconfitta dei materiali, uno dei più belli, Pierantoni ricorda una semplice verità su cui gli architetti farebbero bene a riflettere: l'incompetenza materica di chi costruisce case ed edifici, la palese cecità tattile e acustica con cui sono trattati i materiali. Dai nostri edifici sono scomparsi materiali (pietre, metalli, sabbie, arene, vetri, ecc.) che rendevano vive e sensibili le nostre città; viviamo, scrive Pierantoni, in «un mondo amputato di oggetti infinitamente simili tra loro, la cui forma è così elementare e ripetuta da permettere la pianificazione delle confezioni di imballaggi». In questo senso Verità a bassissima definizione non è solo un libro da cui si imparano cose nuove, ma anche un manuale di critica e percezione del quotidiano che ti apre gli occhi e ti fa essere almeno un po' perplesso sulle mirabolanti soluzioni tecnologiche promesse da molteplici, per quanto titolati, apprendisti stregoni. Marco Belpoliti Come luoghi, materiali, architetture cambino il nostro modo di vedere (o non vedere), di nuotare nello spazio: la ricerca di Ruggero Pierantoni VERITÀ* A BASSISSIMA DEFINIZIONE Ruggero Pierantoni Einaudi pp. 267 L. 26.000