I RISCHI: IL SOGNO EMIGRA A PECHINO

I RISCHI: IL SOGNO EMIGRA A PECHINO I RISCHI: IL SOGNO EMIGRA A PECHINO AX Frisch era ossessionato dal tema dell'identità. Forse perché faceva l'architetto e s'era lasciato sedurre dalla scrittura. Per sopportare il mondo, diceva lui, per rimanere in vita. Era un uomo sulla difensiva, in un certo modo, un poeta dell'angoscia. Come i suoi eroi: i vari Stiller, Faber... Chi li ricorda più? Ci hanno anticipato la crisi della ragione, messo in guardia dalle certezze tecnologiche, insinuato il dubbio sulla nostra vera identità. Vecchi temi, oggi forse un po' obsoleti. Ma... a ben guardare, si tratta poi sempre della realizzazione dell'individuo. Cioè roba che non invecchia e che ogni generazio- SONO, OVVERO UN VIAGGIO A PECHINO Max Frisch trad. di Gina Maneri Marcos y Marcos pp. 99. L. 16.000 ne deve ripensare a suo modo. Frisch non si faceva illusioni. Dall'eldorado della sua Svizzera, a cui non ha certo risparmiato critiche (si pensi al suo gustoso libretto Guglielmo Teli per la scuola), egli sguinzagliava per il mondo eroi un po' falliti, gente che alla fine tagliava i ponti dietro di sé, rinunciando al proprio nome e al proprio io. Oppure, come nel suo secondo romanzo del 1945 (Frisch, scomparso nel 1991, aveva allora 34 anni), Sono, ovvero un viaggio a Pechino, che Marcos y Marcos presenta ora per la prima volta in italiano nella versione di Gina Maneri, proiettati verso oniriche avventure. Lontano dalla quotidianità, dai ruoli che il mondo e gli altri ci cuciono addosso. Ma verso dove? Verso l'antico paese del sogno? A Pechino, dove il protagonista non arriverà mai? Che importa, basta non respingere il sogno, sa¬ pere che a certe latitudini, dove la coscienza non approda, «non possono accadere tutte quelle cose per cui ci rodiamo il fegato». Il giovane Frisch scrive una delicata parabola sull'emigrazione dell'anima in un Oriente di cartapesta in compagnia del dottor Freud. Sogno invece di realtà. Ozio anziché meccanica produttività. E poi una concezione del tempo come luogo del nostro cuore e non l'illusione ordinatrice della ragione con un prima e un poi. E per far ciò sceglie il lontano Oriente così come il suo conterraneo Hermann Hesse s'invaghì di un'India tutta di fantasia. Oggi che la Cina è più vicina che mai e i suoi abitanti praticano il capitalismo occidentale, Frisch dovrebbe riscrivere il suo libro e cercarsi un altro Faese per il turismo dell'anima. Beato il suo io-narrante che a Pechino non ci arriva, ma la riesuma attraverso gli spiragli del sogno. Sarebbe per lui una gran delusione scoprire che l'utopia ha fatto il suo tempo e che per molti oggi il problema non è uscire dal proprio ruolo (parola che in tedesco suona come il rotolo che il narratore spera di lasciare in qualche angolo della capitale cinese), ma di acquisirne socialmente uno. Eppure questo breve romanzo di Frisch è una vera e propria iniziazione alla libertà individuale. Se non la vedi intorno a te, chiudi gli occhi e costruiscila lungo percorsi immaginari. E' una lunga vibrazione di parole sognanti, un arabesco magico e sottile, con un po' di Hesse dentro e un po' di Novalis. Vi fanno capolino sagome misteriose: un santo di arenaria, l'angelo, la ragazza Fiordipesco, un principe, la bella Maja. E poi Sono (proprio come «io sono»), un alter ego che insuffla la vita del sogno, che induce a viaggi negli spazi fatati dell'inconscio. Come in una fiaba. Dove, non a caso, la moglie del viaggiatore immaginario si chiama Raperonzola, come nei fratelli Grimm, ma senza treccia. Del resto al suo eroe, che frequenta utopie, serve ben altro: uri paio d'occhi che vedano lontano. Un po' oltre la realtà e i suoi rituali. Verso Pechino, che non raggiungerà mai. Luigi Forte SONO, OVVERO UN VIAGGIO A PECHINO Max Frisch trad. di Gina Maneri Marcos y Marcos pp. 99. L. 16.000

Luoghi citati: Cina, India, Pechino, Svizzera