GIAPPONE SLOT-MACHINE
GIAPPONE SLOT-MACHINE GIAPPONE SLOT-MACHINE Dove tutto si può comprare, perfino i rapporti tra le persone: un impietoso ritratto in «Dance dance dance» di Murakami Haruki lettura ultimata le impressioni sono di già visto e di sfoggio di bravura. Dance Dance Dance di Murakami Haruki, che Giorgio Amitrano ha tradotto per l'Einaudi, assomma i pregi e i difetti del cinquantenne (è nato nel 1949) beniamino dei giovani giapponesi, che, nel suo Paese, ha fatto conoscere Francis Scott Fritzgerald, John Irving e Raymond Carver. Nel 1987 aveva ottenuto i consensi della critica e del pubblico con Noruwei no morì (in italiano Tokyo blues), romanzo d'amore e di morte di impianto tradizionale, ma di forte impatto emotivo, tanto da diventare il romanzo culto della generazione che, nel 1969/'70, aveva vent'anni, libro che superò presto i quattro milioni di copie vendute in Giappone e che ebbe successo anche in Occidente. L'anno dopo Murakami tornò su strade già battute nelle prime opere quando mescolava i generi: thriller e mystery, antropologia e fantascienza, romanzo di indagine e romanzo di costume, unendo metafore non sempre convincenti a un'attitudine non comune alla parodia. In Dance Dance Dance prende personaggi e situazioni da un romanzo precedente, Sotto il segno della pecora, e, più che scriverne il seguito, tenta nuove possibilità e nuovi sviluppi. Le capacità affabulatorie e la fluidità del narrare sono innegabili. Le lunghe digressioni e gli interminabili dialoghi sui massimi sistemi con le frasi eleganti e ricercate, che sono spesso di un'ovvietà disarmante e che rasentano l'automatismo e la maniera, non pregiudicano la leggibilità, ma, sul piano dell'intreccio, il romanzo non mantiene quello che promette. L'io narrante e un trentaquattrenne giornalista indipendente, abbandonato in tronco dalla moglie e divorziato, che, dopo quattro anni, torna in una Sapporo coperta di neve convinto che solo partendo dal vecchio Albergo del Delfino, in cui ha alloggiato con un'amica scomparsa senza lasciare tracce, potrà ritrovare l'equilibrio perduto. Invece del desolato albergo trova il lussuoso Dolphin Hotel, ventisei piani di vetro e acciaio scintillanti e con inservienti dalle uniformi impeccabili. Il Dolphin Hotel cela al suo interno una sorta di antro buio, freddo e dal penetrante sentore di muffa, abitato da un fantomatico uomo-pecora che dice di essere l'unico in grado di aiu¬ tarlo. Nell'andirivieni tra Sapporo, Tokyo e le Hawaii, trascorrono cinque mesi costellati da ben sei cadaveri, tra ragazze squillo assassinate, un amico che si è impiccato, uno che si è suicidato gettandosi in mare con una Maserati e uno che è morto in un incidente. Gli enigmatici segnali che l'amica scomparsa sembra lasciare sono messaggi solo per il protagonista e la trama gialla non decolla: le indagini avviate con l'interrogatorio al commissariato, un tetro squarcio dentro il sistema investigativo nipponico, sfumano nel nulla. Efficace e credibile invece è il ritratto per niente esaltante di un Giappone ultramoderno basato sul denaro e sull'esteriorità. In una società opulenta da sistema capitalistico avanzato, dove il consumismo e lo spreco sfrenati sono i motori dell'economia, tutto è monetizzato e tutto si può comprare, perfino i rapporti tra le persone: i genitori separati di Yuki, la tredicenne dai poteri medianici (il personaggio meglio realizzato), sono disposti a pagare per il tempo che il protagonista dedica alla figlia in un legame di amicizia e complicità che dà un senso alle rispettive solitudini. Le collusioni tra alta finanza, politica e malavita e le spregiudicate speculazioni sono palesi e tollerate. Le squillo di lusso si possono prenotare da un conti- nente all'altro tramite una rete collegata a livello internazionale. I personaggi dello spettacolo sono programmati come robot per creare modelli e consenso. La pubblicità spinge a comprare abiti griffati, gioielli di marca, auto di grossa cilindrata. L'antro dell'uomo-pecora, residuo tenebroso dell'antico albergo, rappresenta il lato in ombra di questa società arricchitasi troppo in fretta e forsennatamente? E' un mondo parallelo, un altrove dell'esistenza? E' il luogo informe e ancestrale da cui proveniamo e in cui siamo destinati a tornare? E' il Nulla? Interrogativi senza risposte. Dance Dance Dance, che risale alla fine degli Anni Ottanta, il periodo di Bàburu, la Grande Bolla del miracolo economico giapponese che, una volta scoppiata, ha prodotto, allora, il tracollo dell'Indice Nikkei della Borsa di Tokyo e, oggi, la caduta libera dello yen che sta mettendo in fibrillazione le Borse mondiali, è uno specchio impietoso del Giappone contemporaneo. Come romanzo è riuscito a metà e i milioni di copie vendute all'uscita si spiegano come ricaduta del successo di Tokyo blues, che finora, tra i libri tradotti di Murakami Haruki, resta il migliore. Angelo Z. Gatti DANCE DANCE DANCE Murakami Haruki trad. di Giorgio Amitrano Einaudi pp. 502. L. 32.000
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