MONTANELLI, LIBERALE SENZA CAUDILLO di Bruno Quaranta
MONTANELLI, LIBERALE SENZA CAUDILLO MONTANELLI, LIBERALE SENZA CAUDILLO LE STANZE Indro Montanelli Rizzo//' pp. 425 L. 32.000 A vita in una stanza. Tra via Solferino, via Negri, via Dante, ancora via Solferino. Ovvero il «Corriere della Sera», «il Giornale», «La Voce» (non dimenticando l'angolo «Controcorrente» su «La Stampa»), fino al ritorno a casa, nella fortezza Bastiani. Ieri l'altro in compagnia di Montale, • quindi di Piovene e di Buzzati. Ieri - quando gli toccò vestire l'abito direzionale - solo e fiero come una figura di Friedrich, scortato da poche, buone cose: una foto della dimora natale, un acquerello di Maccari ritoccato da Longanesi, una cartolina celebrativa del XX Battaglione eritreo, un ritratto a matita firmato dalla moglie Colette... Le stesse cose o madeleines che - vien da supporre - lo hanno seguito nell'ultimo, s'immagina definitivo trasloco, nell'ufficio già dei Cre¬ spi. Indro Montanelli e i lettori, da lui avvertiti come suprema Corte di Cassazione. Forse non vi è giornalista che, al pari del signore di Fucecchio, abbia intrecciato i suoi destini in modo così viscerale con i carissimi committenti: di notizie, opinioni, paradossi, le predilette armi improprie - i paradossi - caricate «a verità». Libero, liberissimo, il decano del giornalismo, fino a trovarsi non di rado in disaccordo con se stesso, una virtù e un onore, una bizzarria non vacua, un contraddirsi che non è smentirsi. Le Stanze ora raccolte in volume (una scelta della rubrica sul «Corriere») sono un frammento dell'officina montanelliana. Un antitaliano in dialogo con gli italiani. Antitaliano in forza dell'assoluta pratica che ha di questo Paese, di chi e di che cosa nei secoli lo ha plasmato e lo ha disfatto. Un hors catégorie, là dove i più - lamentava Luigi Salvatorelli - o sono conservatori senza coscienza o sono progressisti senza cervello. Montanelli è un irregolare, un a sé, un misantropo, acceso dallo zolfanello leonardesco (ecco un altro toscano): «E' salvatico chi si salva». E dunque: a innervare i quotidiani dialoghi (ma non vanno smarriti i colloqui d'antan su L'Europeo, «I nostri affanni», una pagina insieme autenticata dalla vignetta di Giorgio Cavallo) non è un filo pedagogico, non è l'ansia o l'ambizione di fare o di rifare gli italiani. Epigono limpido qual è dei moralisti francesi, l'Indro nazionale converrà con Jean de La Bruyère: «Poiché gli uomini non si disgustano certo del vizio, non ci si deve nemmeno stancare di biasimarlo; sarebbero forse peggiori se venissero a mancar loro i censori o i critici; ed è questo che ci spinge a predicare e a scrivere». Nelle Stanze di Montanelli si respira un'Italia protestante, che non assolve né si assolve, ma testimonia (non a caso si intitola II testimone una trascorsa antologia di articoli). Sempre meno fedele alla speranza che si tornerà a capire, calamitato - l'anagrafe è un peso non beve sulla bilancia - dal pessimismo prezzoliniano, qua e là scalfito, interrotto, da una rigenerante scintilla gobettiana. Arreso mai, Montanelli. Rinvigorito anzi dalle patenti di senilità che con maggiori o minori giri di parole gli vengono rilasciate. Potrebbe opporre, alia maniera di Luigi Einaudi, un cittadino della sua Italia: «A me non fa nessuna impressione l'essere da tempo immemorabile collocato nell'elenco dei superati; che, avendo potuto contemplare quanti fra i superatori erano già a loro volta messi da parte, sempre mi pareva di aver qualcosa da dire in confronto di coloro che non osavano più cianciare delle loro novità presto tramontate». I botoli ringhiosi (diversa figura è il critico) che si esercitano contro Montanelli militano in genere nel sedicente campo «liberale». A irritarli, a mandarli in corto circuito è l'essere smascherati da chi sa, da chi è in regola con i quarti di nobiltà. Rispondendo a una lettera (risposta non compresa nelle Stanze in volume), il Direttore una volta sferzò gli odierni «liberali in perpetua attesa di un Caudillo da seguire e servire, gli stessi liberali che accorsero nel "listone" e per esso votarono: una famiglia alla quale io, liberale, non mi sento di appartenere. Appartengo all'altra: a quella che, ben sapendo di non poter mai diventare, in un'epoca di masse, un partito di massa, e quindi di non poter mai scalare il potere, cerca di proporne agli altri il modello e di convertirveli. Per me il liberalismo non è più, da un pezzo, un partito. E' una scuola e una morale». Lo stile del «Corriere» di Albertini. Bruno Quaranta LE STANZE Indro Montanelli Rizzo//' pp. 425 L. 32.000
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