Il silenzio

Il silenzio Il silenzio namorecoappnelle orecchie Continua la nostra serie di racconti «Voci d'estate». Dopo Ammaniti, Voltolini, De Marchi, Conti, Scarpa, Pariani, ecco «Il silenzio», di Simona Virici, rivelatasi con il romanzo «Dei- bambini non si sa niente». CHIUDO tutte le finestre. Gli infissi scivolano umidi sotto i miei polpastrelli. Anche le case, come i corpi, sudano. Aprono i pori. Evaporano. Tentano disperate di abbassare la temperatura. L'acqua mi scivola da tutte le parti. Non ho un centimetro di pelle asciutto. Chiudo le finestre e mi barrico dentro questi trenta metri quadri per sfuggire alla città. Dovrei salire su un treno e scappare da qualche altra parte, al mare, o in montagna. Ma non posso. La colla che mi avvolge la pelle è anche stretta attorno ai pensieri, alla volontà. Sono stanco e svogliato. Ogni decisione mi costa fatica. E poi, lei mi manca, mi mancherebbe dappertutto. Penso ai suoi capelli, al modo che ha di metterli dietro le orecchie con un unico semplice gesto delle braccia e delle mani, quando ha caldo. Penso che forse davvero la colpa è mia se se n'è andata. Sono troppo stressato e stanco. Quindi cattivo. Ho bisogno di stare solo. La mia fuga, il mio esercizio di silenzio avverrà qui. Trenta metri quadri, quaranta gradi, sessantacinque per cento di umidità. Il mio deserto. La mia fuga dal mondo. Che vadano, vadano tutti, che si sfianchino in code sulle autostrade, respirino pure i gas di scarico dentro le gallerie intasate, si svacchino sulle spiagge. Io resto. Resisto. La casa si chiude tutta. L'ombra la tiene. Le persiane abbassate, le finestre chiuse, la porta sprangata. Ma il caldo entra lo stesso, si propaga attraverso i muri e mi spinge da tutte le parti. E' una pressione bollente, come di un corpo gigantesco e informe. Una massa molle e untuosa che mi circonda. Mi stendo sul pavimento, seguendo l'esempio dei gatti. Le mattonelle sudano, ma sono sempre più fresche del letto. Non è per il caldo, che mi chiudo qua dentro. Il caldo mi segue ovunque, in questi giorni di piena estate che riempiono i giornali e le bocche dei telecronisti di orrendi fatti di sangue. E' dai rumori che scappo. Dal frastuono della città. Dalle voci di tutta la gente che mi scivola accanto lungo le strade. Le voci che entrano dalle finestre aperte e si mescolano, rimbombano, mi soffocano come lacci di gomma avvolti stretti intorno alla gola. Una volta non lo sentivo, tutto questo rumore. Una volta, andavo rapido per le strade e mi riempivo la testa di suoni. Non ne avevo mai abbastanza. Avevo una cassa grande abbastanza, dentro, da potersi permettere il sovraffollamento. Ora invecchio. Ora le cellule lavorano più lente. Si incagliano. E' successo all'improvviso. Ma l'istante esatto non lo ricordo. Forse dentro il centro commerciale. La musica che esce da tutti gli altoparlanti, Natalie Imbruglia, Irene Grandi, Pdcky Martin. La gente che parla. Parlano tutti. Il rumore delle auto nel parcheggio sotterraneo, il fruscio delle scale mobili. Le ruote cigolanti dei carrelli. I tacchi assurdi delle scarpe da donna. I bambini. L'aria condizionata che soffia come un vento artico sulla nuca. Ho guardato intorno a me tutta questa gente che rideva mangiava parlava faceva casino tirava fuori i soldi le mani unte di pizza sui tovaglioli di carta. Mi sembrava che tutti stessero dentro una gigantesca bolla oblunga. Molle e densa. Opaca, che non si riuscivano a distinguere bene i contorni delle cose. E tutti dondolavano insensati avanti e indietro, facendo gli stessi gesti dicendo le stesse parole ma a velocità sempre più vorticosa. Mi è venuto in mente il Pendolino, un tipo che sta sempre fermo a Porta San Felice, proprio all'incrocio e si dondola aventi e indietro col busto e fuma una sigaretta dopo l'altra. Dondola e dondola. Dondola e fu¬ ma. Chiuso nel suo inferno di traffico gas di scarico e merda di cane ma tanto lui non se ne accorge, l'unica cosa che sa è che sta male. Estate e inverno, lui dondola e sta male. Primavera e autunno. Anche gli altri stanno male. Non si può stare bene nel centro commerciale col vento artico e le pizzette e l'edicola straripante di giornali che non legge nessuno. Tutti i pendolini che si agitano di qua e di là fanno finta di star bene con l'abbronzatura e il silicone, le mèches colorate, il telefonino. Ho comperato dei tappi per le orecchie di silicone. Due gocce gommose e trasperenti che si modellano morbide adattandosi al contatto uditivo. I rumori restano fuori della mia testa. Il silenzio si spande come una cera liquida e calda, piano piano si solidifica e si raffredda. Fa freddo dentro la mia testa vuota di rumori. Un freddo cristallino e limpido come il circolo polare. Vedo i pinguini e gli orsi bianchi caniminare lenti su infinite distese bianche. Non c'è nemmeno un soffio di vento. Tutto muto. Così dev'essere il suono delle stelle. E dei pianeti che girano. Peccato che sia falso. Peccato, che il silenzio vero non .esista da nessuna parte. Che siano due gocce di silicone trasparente ficcate a forza nelle orecchie a far¬ mi sentire cos'è la pace. Sono un baco avvolto nel bozzolo. Il mondo è tutto fuori di me. Separato, lontano. Disteso sul pavimento, immobile. Le braccia allungate lungo i fianchi, le gambe stese, gli occhi chiusi. Mi pare di addormentarmi. Fluttuo senza peso in un posto morbido e liquido. Cerco di allontanare tutte le parole, ma lei, lei non riesco ad allontanarla. I suoi occhi mi osservano, la sua bocca ride di me. Scemo, dice, a quest'ora potevamo stare su una spiaggia bellissima, nuotare e prendere il sole, potevamo abbracciarci nell'acqua e chiacchierare raccogliendo conchiglie... scemo che sei, potevamo mangiare il pesce sotto le stelle e fare l'amore, guarda come sei ridicolo lì steso a sudare... chi se ne frega, tanto io al mare ci vado con un altro... Quando mi sveglio, il ronzio nella mia testa si è fatto insopportabile. E' il silenzio fasullo che si riempie di suoni assurdi e fastidiosi, senza spessore, tutti pressati in fondo alla mia cavità auricolare. Sono passate dieci ore. Infilo con cautela la punta di due dita nell'orecchio e tolgo il primo tappo. La goccia di silicone mi scivola tra le dita e cade a terra. Infilo le dita nell'altro, ma in quell'istante, con la coda dell'occhio noto un foglio di carta bianca infilato sotto la porta d'ingresso. Un trian¬ golino leggero incastrato sotto il legno. Mi chino a raccoglierlo. Ho suonato al campanello venti volte, ho bussato allaporta con tutta la forza che avevo, ti ho chiamato dal cortile, ho lanciato un sasso contro la finestra: niente. Potevi almeno dirmi una parola. Tanto lo so che ci sei. Che te ne stai chiuso lì dentro come un pazzo. Io ero venuta per fare la pace, ma adesso sono così arrabbiata che credo proprio che accetterò l'invito di Luca e me ne andrò in Sardegna con lui e i suoi amici. Scemo che sei. Adesso è proprio finita. E pensare che potevamo essere su una spiaggia, e nuotare insieme... Non mi cercare. Linda Mi sfilo l'altro tappo e lo butto per terra. Accartoccio la lettera di Linda e la butto nel cestino della spazzatura. Mi piace il rumore che fa la carta appallottolata. Un fruscio secco e cattivo. Apro la finestra. E' notte e ci sono tante stelle. L'aria si è rinfrescata. Il primo rumore che sento è il frusciare di un brigatore nel giardino. Un suono cristallino e circolare, rapido e ticchettante. I fili di erba schioccano allegri sotto il getto d'acqua fesca. Si alzano e si abbassano come ballerine. Il secondo, è mia voce di bambino che canta una vecchia canzone che parla di papere. E' una vocina sottile e stentata, ma dolce da far piangere. La notte è bellissima. Davanti a me, proprio dietro il tetto del palazzo di fronte, incominciano ad esplodere dei fuochi d'artificio che illuminano la città di colori inaspettati. Senza suono, sarebbero molto meno belli. Ascolto tutti questi rumori, questi suoni sovrapposti e penso che il silenzio è U, nelle pause. Tra uno strato e l'altro di suoni, si stende soffice e gommoso. Sono io che non so ascoltarlo, ma lui c'è. Ed è bellissimo, perché è vero. Penso che potrei anche sforzarmi di imparare. E poi penso che forse, Linda non diceva sul serio. Se la chiamo subito, la valigia che ha appena finito di riempire la usa per venire al mare con me. Simona Vinci LE LETTURE Claudio ÌSlagris. Un altro mare. -(Jarzanti- Gcoff Dyer, In cerca, -Instar libri- l'.inilv Dickinson, Le poesie, -Mondadori- Anna Mii'haels, Injiiga, -Astrea Giunti- Deborali Gambetta. I faggio di maturila. -El Edizioni- Francesco Biatnonti, Vento largo; L'angelo dt'Amigue; Attesa sul mare; Le parole la notte. -Einaudi'- Kainer Maria Rilke. I sonetti a Orfeo, -Feltrùwlli- Marguerite Duras, Scrivere, -Feltrinelli- IL DETTO "Chi siede nel deserto per vìvere netta quiete con Dio è libemlo da tre gitene: quella delf udiri', quella del /xirlare e quella del vedere. Gliene rimane una sola; (lucila del cuore,. «I padri del deserto... Betti; Oscar Mondadori di ». i, a, », si meaei e uri. ia a e lmi ri ore n la he oni ei pal le eni, se nnia o o namorecoappnelle orecchie IL DETTO "Chi siede nel deserto per vìvere netta quiete con Dio è libemlo da tre gitene: quella delf udiri', quella del /xirlare e quella del vedere. Gliene rimane una sola; (lucila del cuore,. «I padri del deserto... Betti; Oscar Mondadori LE LETTURE Claudio ÌSlagris. Un altro mare. -(Jarzanti- Gcoff Dyer, In cerca, -Instar libri- l'.inilv Dickinson, Le poesie, -Mondadori- Anna Mii'haels, Injiiga, -Astrea Giunti- Deborali Gambetta. I faggio di maturila. -El Edizioni- Francesco Biatnonti, Vento largo; L'angelo dt'Amigue; Il silenzio

Luoghi citati: San Felice, Sardegna