Quanti profeti di sventura al capezzale delle Borse di Alfredo Recanatesi

Quanti profeti di sventura al capezzale delle Borse OLTRE LA LIRA ^1 Quanti profeti di sventura al capezzale delle Borse ECONOMIA è tutt'altro che una scienza esatta, eppure gli economisti si comportano come se lo fosse. Così succede che sulla crisi asiatica se ne sentano ogni giorno di tutti i colori: ogni economista ha le sue ragioni per spiegarla e i suoi rimedi per uscirne, ciascuno aggiusta le une e gli altri all'andamento delle Borse di quel giorno, esponendosi così alla quasi certezza di venire smentito il giorno do- Il dato empirico che sta emergendo con maggior forza, infatti, è proprio che se oggi le Borse vanno giù, vi è una altissima probabilità che domani vadano su, a conferma del fatto che l'interesse prevalente sembra essere quello degli intermediari i quali lavorano e guadagnano solo se le quotazioni fibrillano. Non sono, queste, battute ferragostane, tutt'altro. E' l'estrema sintesi dell'abitudine di voler spiegare le vicende economiche, comprese quelle della Borsa, attraverso i dati dell'economia reale quando, invece, i mercati obbediscono a motivi di ordine esclusivamente finanziario, quindi a motivi che possono nascere anche dal nulla, da previsioni astratte che diventano aspettative, e diventando aspettative tendono ad autorealizzarsi. Di volerle spiegare, ad esempio, senza tener conto che l'incertezza delle Borse si acuisce in agosto per il semplice motivo che, con scambi rarefatti, imprimere oscillazioni alle quotazioni è assai più facile. O senza tener conto che le Borse sono comandate dai computer, i quali emettono ordini di acquisto quando la flessione supera un tot percentuale preventivamente programmato, e ordini di vendita nel caso contrario. I regolamenti di alcune Borse ne tengono conto rallentando o sospendendo l'attività quando c'è il rischio che scattino simili automatismi. Non quello di Mosca, però, i cui contraccolpi si sono ripercossi su tutte le altre Borse: un giorno si è annunciata una epocale estensione della crisi alla Russia, ma già il giorno dopo non se n'è parlato più. Se di queste ed altre circostanze gli economisti tenessero conto, la confusione di idee che vanno alimentando sarebbe certamente minore. Sarebbe quanto meno minore il disorientamento che deriva dal fatto che le loro dichiarazioni e i loro scritti sono destinati a giungere al destinatario finale sempre, o quasi, contro tempo: spiegano come razionale una caduta quando la Borsa l'ha già recuperata, e viceversa una tenuta quando le quotazioni sono già tornate a scendere. La scienza economica non può spiegare quel che accade giorno per giorno in sistemi che ormai sono prevalentemente finanziari e su mercati come quelli borsistici nei quali l'attività professionale è prevalente I sui flussi e deflussi dei reali inI vestimenti. Se ci prova, con l'atteggiamento di chi ogni volta si sente in dovere di dare un contributo di analisi originale, incorre inevitabilmente in brutte figure che, per quel che riguarda la scienza economica, sono diventate un luogo comune, ma per quel che riguarda il comportamento di investitori e risparmiatori sono, ciò nondimeno, motivo di disorientamento o, peggio, di scelte affrettate e quindi, il più delle volte, sbagliate. Può spiegare o almeno provarci - le tendenze di fondo, i cambiamenti durevoli, gli effetti strutturali delle politiche seguite dai diversi Paesi. Ma anche qui senza la presunzione di esaurire il quadro d'insieme da offrire a investitori e risparmiatori per le loro scelte. Le tendenze dei mercati azionari sono la risultante di fattori economici, certo, ma anche sociali, politici, religiosi. Proprio la crisi asiatica lo dimostra: fino a ieri la scienza economica ci descriveva quell'area come la più forte e dinamica del mondo, con una capacità di esportazione che andava minacciando redditi e occupazione dell'Occidente intero. Ora, senza spiegare perché in Paesi descritti come tanto competitivi le monete si svalutino selvaggiamente, allarmano gli investitori preconizzando crescenti sconfitte dell'Occidente. Ben poco li distingue dagli economisti del passato che fin dal '600 andavano prevedendo che il costo del lavoro in Asia avrebbe finito per annientare ogni attività manifatturiera in Europa. La circostanza che la storia è stata radicalmente diversa dovrebbe suggerire l'ipotesi che l'Occidente abbia alla base del suo progresso e del suo sviluppo qualcosa di più che l'analisi economica non considera: gli ordinamenti, gli assetti sociali, il livello della cultura diffusa, la capacità di iniziativa. Per cui non c'è motivo di ritenere che anche questa volta, placate le turbolenze sollevate dai profeti di sventura, l'Occidente, e l'Europa in particolare, non trovi la strada per crescere e progredire; prospettiva che trova riscontro nelle quotazioni che, al netto delle pur eclatanti oscillazioni, mantengono saldamente la maggior parte dei guadagni realizzati negli ultimi due anni. Anche chi opera in Borsa, o soltanto la segue come osservatore, potrebbe evitare errori e contraddizioni se, di tanto in tanto, si voltasse indietro per ripercorrere storie vicine e lontane nelle quali (quasi) tutto è già stato scritto. Alfredo Recanatesi Bsi I

Luoghi citati: Asia, Europa, Mosca, Russia