«Luigi conoscevo uno dei rapitori»

«Luigi conoscevo uno dei rapitori» «Luigi conoscevo uno dei rapitori» Grauso: lui e Piras, VAnonima liberazione LE VERITÀ' DI NICHI CAGLIARI DAL NOSTRO INVIATO Questo è l'archivio, dice. Tre scatole di fogli, pagine di giornali, appunti. Ci sono anche due agende, ma le note sono cancellate. Grauso cerca un giorno, quando l'avvocato Piras gli consegnò il miliardo di Melis e lui fece l'assegno. «Era il 27 ottobre, o il 28. Ma non è più segnato». E' una notte di Cagliari. Nell'ufficio dell'imprenditore, un tavolo lungo, la televisione dall'altra parte, accanto alle poltrone. Ma lei quando si ficcò dentro a questa storia? Nichi Grauso sfoglia l'agenda: «A giugno chiamai Melis. Ingegnere, se c'è bisogno io sono qui. Lui mi dice: grazie, ma mi fa capire che si sta già muovendo per ima soluzione. A settembre chiamo Piras e Lombardini. E anche loro mi dicono di lasciar perdere». E' incredibile come l'imprenditore sardo non si dia per vinto. Guardi dove siamo finiti, ora. Già, Nichi Grauso ogni tanto si smarrisce fra gli appunti. In pochi giorni, tutto sta cambiando in questo intreccio di veleni e di misteri che è il sequestro di Silvia Melis. Anche Luigi Lombardini, il giudice sceriffo, non sembra più quello che avevamo trovato suicida con il mento spappolato da un colpo di pistola, l'investigatore mtegerrimo senza macchia e senza paura. Finite le nenie dei funerali, comincia un'altra solfa. Lombardini sapeva. E ormai, lo ammettono tutti, l'incontro di Elmas con Tito Melis c'è stato, e fu mi appuntamento strano, di insulti e minacce. «Sì, si sono visti», soffia Grauso, «forse, credo, diciamo che pare evidente». Già, pare. Lombardini, ha raccontato un suo amico, «forse era ubriaco quando andò a quell'incontro». Ricorda, quell'amico: «Dieci giorni fa eravamo assieme, lui bevve, tirò fuori la pistola e si mise a sparare in aria». E poi Lombardini sapeva almeno un nome dei banditi che avevano partecipato alle trattative e si rifiutò di dirlo a Grauso. Può un magistrato tacere? E sempre Lombardini, durante il sequestro di Miriam Furlanetto, aveva già trattato e pure depistato. Ma cosa succede davvero negli altipiani di Sardegna, fra le violenze e i silenzi della Barbagia? Qualcosa adesso cominciamo a capire. Che c'è l'Anonima Sequestri, l'abbiamo sempre saputo. Ora l'abbiamo imparato: c'era anche un'Anonima Dissequestri. LA PUBBLICITÀ'. Ma lei che è un imprenditore affermato, perché è andato a cercarsi tutte queste grane, perché l'ha fatto? «Tagliamo corto con la retorica: per pubblicità». Aveva una relazione con la sorella di Silvia? «No, assolutamente. Conoscevo il padre». Davvero, solo per pubblicità? «Mi meraviglio che voi vi meravigliate. Un uomo pubblico come fa adesso a farsi conoscere?». Ma un uomo pubblico non si deve mettere in mezzo a un se- questro per liberare un sequestrato. «Ma io sono innovativo, non volete capirmi?». E per questo si ficca in mezzo a tutti questi guai? «Quali guai? Valgono 90 punti questi guai. Voi vi dovete mettere in quel clima lì, c'era una tensione particolare, un'aria drammatica. Io valuto: chi salva Silvia Melis nessuno lo potrà mai condannare. Se ho sbagliato, non potevo pensarlo allora. Quello che ho fatto vale 50 mila punti in pubblicità. Valuto la necessità di essere innovativo sul piano delle proposte. Salvo ima persona. E faccio pubblicità comunicando generosità, coraggio». E ne è convinto ancora adesso, rifarebbe tutto da capo? «Ma io sono fatto così. Lei dove mi ha conosciuto?». In Albania. «E cosa facevo?». Portava aiuti ad un orfanotrofio. «E allora? Non è la prima volta che faccio operazioni del genere. Questa è la mia storia. Pubblicità significa anche rendere pùbblico il proprio modo di essere». I CONTATTI. Va bene. Grauso cerca Lombardini e Piras. Ma perché proprio loro? «Perché sono le persone che storicamente si occupano dei sequestri, Storicamente, nel senso che è la voce della gente che te lo dice». E tutt'e due gli dicono di no, di stare attento. Alzi, «Piras di- ce: non so niente. E' un incontro molto sereno. Piras sta quasi sempre muto». E Grauso si mette in disparte. Ma dopo un po' Piras lo richiama: «Tu ti puoi muovere, ti puoi approvvigionare del danaro». Va a casa sua, a Cagliari, qui dove siamo adesso. Tutto questo avviene dopo l'incontro di Ehnas, il 12 o il 13 ottobre, ricorda Piras. Il 27 ottobre gli consegna il miliardo di Melis. Proprio in quel periodo lo aveva chiamato Lombardini: «Stai pronto». Lo tenne in sospeso fino al 24. Il 4 novembre, Grauso porta un miliardo e 400 milioni ai banditi. Solo dopo il rilascio dovrà essere pagato un altro miliardo. Era forse il miliardo in più che Lombardini aveva chiesto in modo brutale durante l'incontro di Elmas: (Adesso muovi il culo e ti dai da fare, maledetto usuraio». I banditi ringhiano: «Noi non ti diamo l'ostaggio». Grauso protesta: «Silvia mi dev'essere riconsegnata». E loro, no, dicono: «Verrà». TRI TRATTATIVE «Non è un'ipotesi. E' una certezza», dice Grauso. Ci sono tre trattative per liberare Silvia e sarebbero quelle di Lombardini, di Grauso e dello Stato. Grauso si muoveva per conto di Piras, ma anche di Lombardini. Lombardini autonomamente: il suo lavoro si esaurisce il 24 ottobre. Resta ledi tore sardo. E quella dello Stato? «Incomincio a pensarlo, che ci l'osse. Mi chiedo perché ha aspettato tanto a intervenire». Il sospetto viene da alcune carte: un detenuto, Mario Fortunato Piras è trasferito dal carcere di Carinola, Campania a quello di Cagliari, il 10 ottobre Motivazione: lo stato di salute della moglie Tina Niedda non le avrebbe consentito più viaggi sul continente per andarlo a trovartIn realtà, Piras verrebbe in Sardegna per poter fare da mediaiort con i rapitori di Silvia. C'è di più Lombardini si sarebbe dato da fare perché il detenuto avesse due gior ni di permesso, così da poterlo pedinare e scoprire i suoi contatti. Vero, falso? Grauso dice che non lo sa. Quei due giorni, pare, Piras però li ha avuti. Grauso: «Io mi persuado ormai che Lombardini fosse l'uomo dei servizi, che agisse per loro». LOMBARDINI SAPEVA. Grauso ha agganciato i banditi. L'11 novembre Silvia Melis è libera. E' fuggita? C'è chi dice di no. Lombardmi chiama due giornalisti, per convmcerli che la ragazza è stata rilasciata 7 giorni prima. Perché lo fa? Tito Melis comincia a farsi scontroso: «Silvia è scappata 1' 11, e quindi io non devo pagare». E Grauso? «Io credo a Silvia. Le ho sempre creduto. Ho chiamato mi medico legale, l'ho fatta visitare. Era sincera, non c'era ragione di non crederle». Pochi giorni dopo Lombardini incontra Grauso : «Mi dice "lo sa che io non credevo che fosse andato lei a portare i soldi". Invece, è vero, e mi dice di sapere anche a chi li ho dati i soldi. A me non fa mai un nome. Io quando li avevo incontrati avevano il cappuccio, non potevo riconoscere nessuno». A Silvia libera, comunque, comincia la guerra dei soldi. Piras, Grauso e Melis si trovano in un albergo a Sassari. «Io non pago più mente», dice l'ingegnere. Grauso: «Sul momento, ho pensato guarda 'sto qua, adesso che è tutto finito lascia nei guai me e Piras che l'abbiamo aiutato. Ma devo dire che in fondo lo capisco. Però gli dico, io mi sono preso l'impegno, sono costretto a pagare». E lo fa. Tre rate. L'ultima a maggio, sostiene. Quanto? «In tutto 2 miliardi e 650 milioni». Lei è sotto di quanto? «Uno e 650». Ed è ancora convinto che ne sia valsa la pena? «Volete calcolare quanto ho avuto di ritorno come pubblicità? Voghamo due 100 miliardi?». E Tito Melis la lascia pagare così? «Lui ha riavuto la figlia. E' a posto». Poi arriva la magistratura, partono le indagini. E' ancora convinto che volessero incastrare Lombardini? E lei? «Loro vogliono che con quest'accusa pesante io dica: i soldi li ho dati a Tizio e Sempronio. Io non dico un cazzo. Perché non lo so. Se pensano questo, si sbagliano. Mi faccio dieci anni di galera, ma sto zitto». Pierangelo Sapegno «A un certo punto trattavamo in tre per liberare Silvia: il giudice sceriffo lo Stato ed io» «Lombardini sapeva il nome di uno dei banditi che prese parte alle trattative per il riscatto Ma tacque, forse perché lavorava per i servizi» et«stv Al centro: Nichi Grauso con Silvia Melis. A destra: il giudice Lombardini