«Senza rendercene conto entrammo nella storia» di Gianni VattimoMarina Cassi
«Senza rendercene conto entrammo nella storia» «Senza rendercene conto entrammo nella storia» PARLA GIANNI VATTIMO STORICA. Così definisce l'estate del '68 Gianni Vattimo - allora giovane docente universitario - che la ricorda come un «periodo in cui è successo tutto in pochissimo tempo; si sono vissute esperienze, per l'appunto, storiche». Non che il filosofo fosse di suo un entusiastico sostenitore del Movimento studentesco, della fantasia al potere, dei controcorsi sul Vietnam, anzi. Confessa senza ansia: «Fino a un certo punto ho giudicato gli studenti che interrompevano le mie lezioni dei figli di buona donna, ricchi borghesi viziati che volevano cambiare le cose per faticare di meno; insomma un po' la posizione di Pasolini». E aggiunge: «Ho litigato tanto al punto di farmi riacutizzare l'ulcera gastrica e di doverne essere operato». E proprio durante la convalescenza la lettura di alcuni «testi sacri» - come «L'uomo a una dimensione» di Marcuse - fece mutare opinione al futuro teorico del pensiero debole. Così l'estate del mitico Sessantotto diventò per Vattimo una summa teorico-pratica dell'annata. «Si sono sommate esperienze diversissime come se in quei due mesi si dovesse vivere tutto. Prima andai a Herault in Provenza in una specie di comune. Si viveva in condizioni primitive, ma si discuteva tutto il giorno, si facevano seminari». Un microcosmo che rifletteva le infinite anime del movimento. «Eravamo un gruppo molto eterogeneo. C'era anche un ragazzo che rubava nei ne¬ gozi; ricordo una volta una grossa, unta fetta di lardo infilata sotto la maglietta. Io naturalmente non rubavo però il lardo l'ho mangiato». Dalla primitività della vacanza in Francia a un importante appuntamento culturale in Svezia. «A agosto a Upsala c'era un congresso internazionale di estetica. Finì proprio il giorno dell'invasione sovietica a Praga. Mi ricordo che i colleghi cecoslovacchi erano affranti; mi diedero dei nomi e degli indirizzi falsi a cui cercarli nel loro Paese. Uno di loro, ho saputo più tardi che era finito a lavorare come operaio in fabbrica». Vattimo disegna con un'immagine i sentimenti di quella estate: «C'era un sapore storico-epocale. In una stagione si sono sommate tutte le esperienze adolescenziali. Fatte in un colpo solo anche dal punto di vista esistenziale e sentimentale». Nel ricordo l'estate di quella «calda» annata era appunto «calda, come questa». Ma in città - «che era più morta di adesso, anche l'Università chiudeva ben prima» - Vattimo ci rimase assai poco. «Dopo la Francia e Upsala andai in Jugoslavia, che allora costava pochissimo, e incontrai tanti studenti di tutta Europa. Era un periodo in cui bastavano due parole, il titolo di alcuni libri letti in tutto il mondo per capirsi, per trovare una sintonia e parlare per ore. Era una specie di koinè europea». Marina Cassi «Giudicavo ricchi borghesi viziati gli studenti che mi interrompevano»
Persone citate: Marcuse, Pasolini, Vattimo
Luoghi citati: Europa, Francia, Jugoslavia, Praga, Provenza, Svezia, Vietnam
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