In cerca di poesia con Bertolucci di Alessandra Levantesi
In cerca di poesia con Bertolucci Tutti i ventuno capitoli andranno in onda su Raitre a partire da ottobre In cerca di poesia con Bertolucci A Locamo applausi per «Alfabeto italiano» LOCARNO. Siamo ancora un popolo di poeti? Viene spontaneo chiederselo dopo l'applaudita proiezione al Festival, nella sezione «Cineasti del presente», dell'emozionante «In cerca della poesia: tracce e indizi» di Giuseppe Bertolucci: uno dei 21 capitoli della serie di Raitre «Alfabeto italiano» (andrà in onda a ottobre), realizzati da cineasti vari riproponendo in forma originale materiali dell'archivio televisivo. Se andiamo a verificare quanta poesia sia stata trasmessa sul piccolo schermo a partire dalla metà degli Anni 50, Bertolucci ci in forma che «l'attenzione della primitiva televisione del monopolio verso gli eventi culturali era incomparabilmente superiore che negli ultimi vent'anni». Questo lo si poteva immaginare, ma fa un certo effetto vedere in un reperto d'epoca il portentoso imitatore Alighiero Noschese dilettarsi a rifare Ungaretti: vuol dire che allora milioni di spettatori del suo popolarissimo varietà sapevano chi era il poeta, ne conoscevano il volto e il caratteristico modo di parlare. Quanti potrebbero sorridere oggi di un'imitazione, poniamo, di Luzi o di Raboni? Bertolucci inizia con un frammento del «Viaggio lungo il Tirreno» di Mario Soldati, al quale un pescatore recita degli ingenui versi da lui stesso scritti e prosegue con un montaggio virtuosistico ed evocativo, passando da suo padre, il poeta Attilio, al mutilatino di don Gnocchi che si serve della poesia per comunicare la speranza di una guarigione; da Pasolini che lancia strali contro la società dei costumi a Totò che recita «la livella»; dall'adolescente che si confessa collezionista di versi come altri raccolgono figurine o francobolli al fratello Bernardo che prima di esordire nella regìa riceve un Premio Viareggio, mentre il presentatore cerca di chiamare sul palco Attilio che affettuosamente si nega. A che servono i poeti? Si chiede Soldati sulle tombe di Virgilio e Leopardi, e la domanda rimbalza a Montale, che vedremo in frac nella cerimonia del Nobel, ad Alfonso Gatto, a Sandro Penna, di nuovo a Ungaretti e a tanti altri. Esplode un Benigni d'annata che scandisce stupendamente il canto di' Paolo e Francesca; e in una squallida cornice domestica il vecchio Saba in vestaglia legge il suo «Gol», bizzarramente alternato a Biscardi declamante gli stessi versi in una trasmissione natalizia di Pippo Baudo. Recitano poesie papa Luciani e Gassman, Emma Gramatica alle prese con D'Annunzio e Pasolini al cospetto di un Ezra Pound dall'aria assente più che assorta, un reperto rarissimo. Alla fine del raffinato assemblaggio, non a caso realizzato da un cineasta cresciuto in tanta familiare consuetudine con i poeti (e il film si può leggere pure come un atto di devozione alla figura paterna) emerge un ritratto dell'Italia attraverso la poesia o della poesia attraverso l'Italia: forse a significare che la poesia fino a ieri era ancora qualcosa di congenito alla nostra società. Alessandra Levantesi Giuseppe Bertolucci
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