Un miraggio sul mare smeraldo

Un miraggio sul mare smeraldo L'indicazione, contenuta in una mappa, alimenta nuove leggende sull'antico borgo saraceno Un miraggio sul mare smeraldo Varigotti apre la caccia ai «Territori Indiani» SE non ci fosse la faccenda del parcheggio, con auto rovente a passo d'uomo e poi la folla di bimbe arredate bikini, coi drughi color tabacco a fare tuffi, e le mamme in sonno, i nonni sognanti, i pupi sgocciolanti, tutti aspirando mare di bellezza smeraldo, ti verrebbe naturale sviolinare foglietti di prosa d'arte (in omaggio al paesaggio) per poi guardarli planare sugli scogli biondi della baia. E andarsene a dormire, all'ombra. L'ombra è sotto le arcate delle case. Le case (sulla sabbia) sono quelle dei pescatori. I pescatori, che oggi salano i turisti, hanno messo via le reti tanto tempo fa. Tanto tempo fa veniva Camillo Sbarbaro, il poeta, a raccogliere fiori bianchi sulla sabbia e ne scriveva. Per scriverne (almeno oggi) non servono fiori, ma una mappa. La mappa dice più o meno: Varigotti, antico borgo saraceno, 200 residenti, 18 chilometri da Savona, 3 prima di Finale Ligure. Poi dice: poco dopo Noli, appena passato il granito della Caprazoppa, sulla baia di forma circolare, detta Sarcena, mare limpidissimo e alle spalle il ripido entroterra, macchia impenetrabile «lungo tutti i cosiddetti Territori Indiani». Territori Indiani? Il sole fa questi effetti: ci si può imbambolare su un solo dettaglio e seguirlo per una giornata intera. Eccoci qua: dopo una ventina d'anni di passeggiate e bagni a Varigotti, estati intere da sbarbato e nevrastenici weekend nell'età post-moderna, mai e poi mai erano trapelate - al bar delle focacce, o al baracchino del pemod - esotiche notizie sui Territori Indiani. Che siano il riverbero di una qualche remotissima antichità? Un mistero tramandato? Una leggenda di sangue, una conquista? I nomi sono pur sempre la traccia di una memoria, l'indizio di qualcosa, trasformato in toponimo, che poi sarebbe una parola chiave per custodirci un ricordo. Al bar tabacchi, dove vagano avvocati in mutande colorate, è tutto un gonfiar di gote e sbuffi: «Chissà che roba c'è sotto», dice uno. «L'Italia è sempre un mistero», fa un altro. «Mai sentito - strofina il cameriere indigeno -. Sarà una storia di preistoria... Caffè?». Preistoria, da queste parti ce n'è a bizzeffe. Siamo nel vecchio Ponente di Liguria, temperato di latitudine e ricco di vita. Qui le rocce vanno a strapiombo sul mare, incassando perfino l'Aurelia. Ma dietro alle rocce, corre l'altopiano delle Manie, che è entroterra fondo e bello, fatto di boschi, torrenti e caverne scavate nei roccioni affioranti. Qua e là stava il Neanderthal, che ai posteri lasciò armi, ciotole, scheletri (come quello bello di un'orata). Oppure quello del Giovane principe, guerriero da 70 mila anni addormentato nella grotta delle Arene bianche, in compagnia di mia corona di conchiglie. «Indiani? Sarà per via delle frecce», dice con aria stupefatta la signorina che presidia l'Ufficio del turismo di Finale, aria condizionata e occhioni. Prego? «Le frecce, quelle robe di selce... Frecce e perciò indiani. Nooo?». No, non credo. «Allora sarà per i saraceni». I saraceni erano turchi. «Turchi, indiani...». Non è mica lo stesso Oriente. «Però qui sono arrivati i turchi...». Sono arrivati eccome. Dopo il Neanderthal, dopo i liguri barbuti, dopo i romani che al solito hanno fabbricato strade e cinque ponti, sempre sull'altopiano, per portare civiltà in cambio di acciughe. I romani sono diventati bizantini e poi più nulla. Gli indigeni che cacciavano il cinghiale e tagliavano i monti a terrazze, si sono fatti più quieti coltivando limoni, ulivi e basilico. Di quando in quando arrivavano li turchi a trasformarli in salme o schiavi. Così andava nei secoli, quando nessuno si sognava di fare il bagno o abbronzarsi. Una bella torre d'avvistamento sovrasta la spiaggia. La spiaggia è un colpo d'occhio di folla sdraiata. Se togliete la folla non c'è un altro posto così bello in tutto il Ponente. Le 30 casette vengono su dalla sabbia. Sono semplici e quadrate, un solo piano, il tetto a terrazza, la bouganvillee, l'intonaco color ocra oppure rosa. Alle loro spalle c'è il paese che è tutto in misura microscopica, compresa la piaz¬ za Cappello del prete che è rotonda e minuscola come una torta al limone. L'acqua così bella non è un mistero come questo dei Territori Indiani. Me lo spiegò la signora dell'Arabesque, albergo turcheggiante, ma interamente ligure, come i suoi piatti al pesto e il pesce al rosmarino: «Laggiù, vede, la corrente fresca viaggia da Levante a Ponente, entra nella baia, la ripulisce, se ne va verso Laigueglia». Il resto lo fa il sole scivolando sui fondali bianchi, così che la luce, mischian- dosi allo smeraldo, ne tira fuori un azzurro brillante di vetro lucidato. Sbarbaro venne per tempo e si innamorò, beato lui. E più tardi venne l'ingegner Valletta (in questo paesello senza auto) con casa sul promontorio. E poi Lucio Fontana, quando già tagliava tele, e Natalia Ginzburg e Cesare Pavese, che per la verità fu quasi ovunque, come Lord Byron, ma con meno inchiostro nel sangue. E poi Livio Garzanti e la Gina Lagorio che ancora qui ci scrive. Non ci fu mai troppo chiasso, qui a Varigotti, i riccastri non se ne accorsero e insomma le cose hanno funzionato per bene, sino al disastro universale degli Anni 60, quando a prendere il potere non fu la fantasia, ma i geometri. Non essendoci spazio dentro Varigotti, si vendicarono fuori. Brutti residence, orribili palazzotti con l'alluminio e la piastrella. Tutta robaccia che non si vede alla prima occhiata - il verde e le salite dei costoni le nascondono - ma stanno lì e alla fine te ne accorgi. «Territori cosa?». Indiani. «Mai sentiti». Il presidente della Comunità montana resta asciutto. Guardi queste mappe, gli dico, sono i vostri sentieri? «In effetti, sì». E qui, vede, dopo la balconata sul mare, dopo il rio Armoreo, dove corrono questi sentieri lungo l'Altopiano, cosa c'è scritto? «Territori Indiani». Appunto. «Questa è bella... Non ho mai fatto caso che il nome, in effetti, è strano». Secondo lei da dove arriva? «Non ne ho la più pallida idea. Ha provato in Comune?». In Comune riattaccano la solfa sui Saraceni. E già che ci sono pure sui genovesi che nel 1341 raserò al suolo tutto quanto, interrarono il porto, i vigliacchi, tanto per dire che i sette secoli passati non hanno ancora levigato l'offesa. In quanto agli Indiani, nebbia. «Provi con Saba- telli, l'editore di Savona». Marco Sabatelli è gentile: «Territori Indiani, eh?». Consulta vecchie guide, estrae libroni, persino il solito resoconto dei soliti inglesi, che furono ovunque, più di Pavese. Niente da fare. «Chiami Silvio Riolfo. E' appassionato di storie liguri. Vedrà che ne verrete a capo». A Varigotti ci sono quattro minuscoli stabilimenti balneari con gli ombrelloni gialli e blu. Ci sono un paio di punti ristoro con il tè ghiacciato, le pizzette, le pesche al limone. L'onda si è fatta lunga, sale la brezza, il sole è più dolce. Una meraviglia se non ci fosse la mappa a scassare tutto. «Indiani... E' sicuro? - fa il sapiente Riolfi -. Certo che voi torinesi...». Per la verità sono di Milano. «Anch'io. E dove abita? Ma no! A cento metri da casa mia e conosce...». Essendo, l'intero mondo, a misura di Varigotti, scopriamo luoghi e amici comuni, vacanze comuni. E in comune, pure: nessuna idea sui benedetti Teri ritori. «Certo che è curioso - dice -. Io a Varigotti ci vengo dagli Anni 50. E conosco la storia del Giovane principe, della caverna delle Fate, di quando ci venivano i pittori Fabbri, Capogrossi, Rossello a fare paesaggi dal vero. Un momento: lei conosce il dottor Vicino?». Non ancora, dico. «E' il direttore dell'Istituto internazionale di studi liguri. Un'autorità in quanto a storia locale. Se non lo sa lui...». Il vero splendore di Varigotti è fuori stagione, per l'esattezza da maggio a giugno e poi da settembre. Nei giardini delle case cresce la palma e i fiori sono sempre fioriti. A dicembre, con un po' di fortuna, puoi pranzare con la giacca in terrazza e goderti, bevendo Pigato d'Albenga, lo spettacolo di qualche pazzo tedesco che nuota nella baia. «Sì che lo so perché si chiamano Territori Indiani», dice il dottor Vicino, pacifico. Lo sa? «Lo so. Com'è che le interessa tanto?». Glielo spiego dopo. Dica. «E' successo una trentina d'anni fa. "Sun stet.i i figgieu"». Chi? Cos'è successo 30 anni fa? «C'era da ridisegnare tutti i sentieri e se ne occupava un certo Arturo Borbonese, grande camminatore... Ad aiutarlo andarono i "figgieu", i ragazzi, come si chiamano... i Boy-scout». I Boy-scout? «Già. Il nome lo scelsero loro. E' carino, non trova? Esotico. Evocativo. Fa pensare a chissà cosa, a un mistero, a una leggenda... Scusi, ma perché ride?». Pino Corrias chi, così che la luce, mischian- Due immagini della spiaggia e del promontorio di Varigotti [foto carlo lovisolo) gcora qui ci scrive. fine te ne accorgi. pp«Questa è bella... Non ho mai fatto caso che il nome, in effetti, è strano». Secondo lei da dove arriva? «Non ne ho la più pallida idea. Ha provato in Comune?». In Comune riattaccano la solfa sui Saraceni. E già che ci sono pure sui genovesi che nel 1341 raserò al suolo tutto quanto, interrarono il porto, i vigliacchi, tanto per dire che i sette secoli passati non hanno ancora levigato l'offesa. In quanto agli Indiani, nebbia. «Provi con Saba- Due immagini della spiaggia e del promontorio di Varigotti [foto carlo lovisolo)

Luoghi citati: Finale Ligure, Italia, Laigueglia, Liguria, Milano, Savona