Vigna: falso che Lombardini fosse stufo abbandonato

Vigna: falso che Lombardini fosse stufo abbandonato Vigna: falso che Lombardini fosse stufo abbandonato IL PROCURATORE ANTIMAFIA GIUDICE e sceriffo, giudice Ramno: come Luigi Lombardini è stato chiamato così anche lei, procuratore Vigna. Perché? «Naturalmente, non posso dire di Lombardini, che ho conosciuto in poche occasioni, negli Anni 70 e 80. Parlo per me: spesso imo si trova affibbiate definizioni non corrispondenti alla realtà. Anche se, poi, tutte hanno una loro spiegazione, un'origine: per quello che mi riguarda, penso sia dovuta all'impegno investigativo, alla volontà di venire a capo di certe matasse giudiziarie, insomma, a un modo più vivace di affrontare certe situazioni». Il procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna parla con pacatezza, quasi a voler buttare lo sguardo oltre la cortina di veleni sollevata dal suicidio del magistrato cagliaritano. Procuratore Vigna, i fatti dicono che Lombardini fosse un grande esperto nella lotta al sequestro di persona: possibile che lo Stato si sia privato di quell'esperienza? «Non è che lo Stato si privi, è che il magistrato, quando decide per una diversa funzione, non può più svolgerne altre. Il collega Lombardini, in particolare, si era interessato di rapimenti quando era giudice istruttore, figura oggi scomparsa, e avrebbe potuto svolgere questa sua funzione solo se fosse entrato a far parte di una procura distrettuale. Ma così, poteva fornire la propria esperienza con articoli, riflessioni culturali, stimoli, proposte fatte in sede ordinaria. Ignoro, se lo abbia fatto, di certo non poteva svolgere funzioni attive». Inchiesta per Francesco Delfino, generale dei carabinieri, e poi per Lombardini. Che cosa succede? «Nulla, finché non si arriva a una sentenza. 0 meglio: succede che certe vicende evidenziano la neces sita di svolgere indagini nei con fronti anche di magistrati. Il caso Lombardini non è il primo, basta pensare ai tanti altri magistrati e ai tantissimi appartenenti alle forze di polizia purtroppo sottoposti a indagine e condannati. Questo, in sé, non è un male: al contrario è la prova di un'attenzione della magistratura nei confronti di se stessa e di chi collabora con lei. Caso mai c'è da sottolineare come per troppo tempo il legislatore sia rimasto inerte. Bisogna evitare le cosiddet te competenze incrociate, e parlo di Milano e Brescia, Firenze e Bolo gna, Palermo e Caltanissetta, Reggio Calabria e Messina: è questo che determina la cosiddetta guerra fra procure, perché si ha l'impressione, dicono l'impressione, che uno faccia l'indagine perché l'altro gliene fa una addosso. La norma deve essere modificata e a questo proposito da due anni navigano in Parlamento disegni di legge». Nicola Grauso ha parlato di un complotto di cui farebbe parte la magistratura, il procuratore Gian Carlo Caselli, per processare la vecchia democrazia cristiana. «Non voglio entrare in questo discorso se non per precisare che Grauso afferma di aver saputo certe cose da una persona che, purtroppo, non può né confermare né smentire. E poi...». Che cosa, procuratore Vigna? «Mi sembra un'ipotesi profondamente fantasiosa che si possa utilizzare la magistratura per un progetto politico e che l'utilizzatore possa essere un uomo come il presidente della Camera Luciano Violante». Perché la magistratura è oggetto di ripetuti attacchi da parte dei politici? «Per varie cause e alcune non vanno neppure prese in considerazione perché sono personali. Ma è un fatto certo, questo nostro processo non funziona. Da noi la giustizia pare destinata a un ruolo marginale nell'assetto dello Stato: lo si rileva dal bilancio arrivato, ora, all'I per cento, denaro questo considerato una spesa e non un investimento. Eppure, la legalità conviene a tutti, cittadini e imprenditori. Esistono progetti di grande respiro: l'istituzione del giudice unico e in primo grado, la depenalizzazione che potrebbe vedere innovazioni nel considerare non perseguibili i fatti che presentano una scarsa offensività. Mesi fa ho sentito di uno rinviato a giudizio per un peculato di 25 lire, altrove non accade. E poi, il numero dei magistrati: scarso, con 8 mila sulla carta; in Francia, mi si dice, sono 20 mila». Mafia e mondo politico-imprenditoriale: emergono spesso legami, perché? «Semplice: le organizzazioni criminali forti sono esse stesse imprese condotte con criteri manageriali che destinano i proventi del malaffare per entrare nel campo dell'economia. E questo determina i collegamenti tra l'uno e l'altro mondo». Gli ultimi sequestri hanno segnato sconfitte vistose per lo Stato: caso Soffiantini; caso Melis, appunto; caso Sgarella Vavassori. Che cosa non funziona? «Piano, a parlare di sconfitte. Il primo successo in un rapimento è la liberazione dell'ostaggio. Nel caso Soffiantini è avvenuto, e poi sono stati scoperti gli autori, anche se c'è un punto dolente: perché di questi autori ne mancano due, i la titanti Farina e Cubeddu. Ma non si può dire che sia stato un fiasco. Ca so Sgarella: finora si è verificato uno dei due punti di successo, si è scoperta la rete dei rapitori, non tutta, ovviamente, il che significa che la pista è buona. Caso Melis: la signora è tornata a casa, a parte tutte le altre vicende». Appunto, vicende a parte. E poi c'è, quando viene rapito qualcuno, il blocco dei beni, ma in taluni casi è lo Stato che sborsa il riscatto: casi Cesare Casella, Farouk Kassam... «Impressione sbagliata. Le statistiche dicono che nel 30% dei casi l'ostaggio è tornato senza pagamento. Sul fatto poi che abbia sborsato lo Stato, prove non ne ho. Il punto è che il pagamento è previsto dalla legge, sia pure per acquisire elementi di prova. E forse c'è un equivoco, su questo punto: si pensa che sia consentito purché vengano arrestati i banditi sul posto. Il fatto è che il sequestro è un reato così difficile perché si prolunga nel tempo e questo consente a volte intromettenze che non dovrebbero esserci, provoca contraddizioni fra l'ansia degli organi investigativi e quella della famiglia. Non mi preoccupa il pagamento, mi preoccupa quando avviene in maniera occulta». Cosa Nostra, mafia dei clandestini, dei sequestri, ecomafie: qual è la più pericolosa? «Si fa male a dire. In ogni modo, con tutte le possibilità di errori, la 'ndrangheta perché è la meno scoperta, ci sono meno pentiti, ha vaste ramificazioni anche all'estero». Vincenzo Tessantlori «Non è un male che la magistratura si metta a indagare sui magistrati» «Le competenze incrociate vanno eliminate: creano guerre tra procure» Il procuratore anti-mafia Piero Luigi Vigna

Luoghi citati: Brescia, Firenze, Francia, Messina, Milano, Palermo, Reggio Calabria